Biasimo sociale e ludibrio delle genti, giudizio civico e abiura da parte delle istituzioni per chi uccide una donna, perché prima di ogni garanzia di difesa per il reo, deve esserci il riconoscimento da parte della società civile che il femminicidio è un crimine contro l’Umanità.
A distanza di pochissimi giorni dalla presentazione alla Camera dei Deputati del nostro Lunario Giuridico Antiviolenza IusFemina 2023, con il suggello dell’On. Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura e Fondatore dell’ICAS, Intergruppo Parlamentare, che ha posato insieme a tanti operatori giuridici e giovani studenti per calendarizzare l’impegno di ogni giorno dell’anno nella lotta alla violenza, l’uccisione di Martina Scialdone ci ha ci ha catapultati tutti nel VII cerchio dell’Inferno.
Attoniti dinanzi al fiume di sangue bollente che straripa di misoginia e dominio, che trascina e brucia nell’abisso non solo il reo ma tutti noi e persino la stessa vittima, spesso ritenuta correa o complice delle violenze subite, dobbiamo chiederci dove si annida e come si nutre questo pericoloso e dilagante fenomeno culturale.
Il femminicidio rappresenta “l’ennesimo atto di violento potere contro una donna, dovuta al mancato riconoscimento del diritto alla sua autodeterminazione”.
Gli studi di medicina legale che mettono in evidenza la differenza fra le ferite inferte negli omicidi e quelle inferte contro le donne, dimostrano che l’uccisore mira al petto, al cuore, incendia, scioglie con acido non una persona ma una Identità.
L’antropologa e sociologa Alessandra Sannella, docente dell’Università di Cassino, aderente al Progetto IusFemina, ci ricorda che il maggior rischio che stiamo correndo, non solo in Italia, (pensiamo all’Iran) è che “la violenza sia una normalizzazione all’interno di alcuni contesti che purtroppo non sono delimitati”. Non è solo la famiglia o la relazione sentimentale ma è nella stessa società che si radica l’inaccettabile indifferenza che rende tutti delle isole.
Dobbiamo attendere che il legislatore sancisca che ogni cittadino ha una posizione di garanzia e di custodia nei confronti dei suoi simili? o siamo pronti a sentirci davvero Comunità e Umanità Lesa e Offesa dai soggetti violenti?
Il fatto che la persona offesa tolleri i maltrattamenti, non vi dia peso o addirittura finga una normalità di vita familiare, non esclude il reato. Ed allora perché tentiamo di individuare nella vittima un complice? La fragilità non conosce distinzione di sesso. Sono le circostanze a renderci vittima o carnefice a seconda delle nostre paure. Il nesso tra violenza e dominio è la paura.
Paura di non essere amati, di essere abbandonati.
C’è un solo modo per eliminare la Paura: incutere negli altri una Paura ancora più grande.
A chi accusa i media e persino le tante associazioni che tutelano e tentano di proteggere le vittime, di amplificare il fenomeno della violenza e addirittura di suscitare emulazione con le ricostruzioni televisive dei femminicidi, propongo di educare i bambini con la suggestione della rappresentazione.
Instilliamo nelle mente la coscientizzazione delle nostre scelte. Educhiamo le giovani donne a rappresentarsi il dolore lancinante del proprio figlio nel ritrovarsi orfano o nel leggere sui giornali i raccapriccianti particolari dell’uccisone di sua madre. Educhiamo i maschi a rappresentarsi il biasimo delle loro madri o dei loro figli nel saperli dei predatori violenti.
Se prefigurandoci principi azzurri e lieto fine per sempre, siamo stati capaci di giustificare parole e gesti violenti, allora prefiguriamoci una cena che finisce con un colpo di pistola ed un uomo che può solo invocare l’infermità mentale per accettare la sua crudeltà.