Nel nono mese di una guerra su vasta scala contro l’Ucraina, non vi è alcun segno che Mosca, gradualmente indebolita sotto ogni aspetto, intenda abbandonare il proprio progetto criminale.
La mobilitazione in corso, la proclamata annessione dei territori occupati, le tattiche del terrore contro le città ucraine, la dichiarazione della legge marziale in Russia, insieme alla retorica rivolta urbi et orbi e volta a screditare l’Ucraina e la sua leadership con una vasta gamma di fake news fanno tutte parte dello stesso scenario.
Il Cremlino sta facendo del suo meglio per prolungare la propria agonia sul campo di battaglia nella speranza che riesca a “ribaltare la situazione” o che la situazione internazionale muti radicalmente. Mosca confida nei problemi politici ed economici interni all’Occidente o in qualche azione radicale commessa da parte di altri giocatori o una combinazione di entrambi questi fattori. Tuttavia, l’attuale escalation è già diventata uno strumento per preservare la stabilità della struttura di potere all’interno della stessa Russia.
È importante rilevare come il Cremlino non abbia ancora abbandonato l’obiettivo strategico iniziale della sua aggressione: la distruzione dell’Ucraina come Stato e l’annientamento della cultura e della società ucraine. Inoltre, il governo russo continua a mettere pubblicamente in discussione l’indipendenza dell’Ucraina a tutti i livelli, equiparando retoricamente le sue forze armate a formazioni terroristiche irregolari. Al contempo, utilizzando il mito della guerra contro la NATO, tenta di consolidarsi internamente e giustificare l’assoggettamento definitivo della società russa, sulla quale si sta imponendo il paradigma della cosiddetta “guerra di popolo”. Ciò serve, tra l’altro, a giustificare un ulteriore declino del tenore di vita e l’inevitabile transizione verso una economia di guerra.
Il Cremlino, interessato a rompere l’ordine internazionale stabilito sotto il quale non ha futuro, si sta esibendo in un esercizio di precario equilibrismo politico tra le sempre più limitate risorse disponibili e restringimento della cerchia dei beneficiari del sistema politico-economico russo. In tali condizioni, la violenza contro l’Ucraina si trasforma inevitabilmente in una spirale di coercizione e violenza anche all’interno della Russia. Non ci sono praticamente prospettive indolori praticabili: o accrescere l’autoisolamento dal mondo per un periodo indefinito, sempre che il Cremlino riesca a mantenere sotto controllo la situazione, o assistere ad una serie di turbolenze politiche interne, che potranno sfociare in ulteriore degrado politico, economico e culturale.
Allo stesso tempo, i tentativi di condurre una mobilitazione economica per compensare le pesanti perdite di armamenti e attrezzature militari della Russia hanno finora dato modesti risultati. Non è stato creato alcun piano credibile. Il consiglio di coordinamento del governo, istituito a tale scopo, non ha mostrato alcuna attività seria e sembra essere più il tentativo del Cremlino di distribuire le responsabilità in una cerchia più ampia possibile di burocrati e membri dell’élite russa.
Le regolari ispezioni svolte, da parte di membri del governo e del Consiglio di sicurezza, presso le imprese del comparto militare, così come le minacce rivolte alla direzione di tali imprese, indicano che le autorità russe sono consapevoli della gravità della situazione. Tuttavia, nonostante l’ostentata sicurezza e la distribuzione di nuovi contratti di produzione di armamenti, la situazione nella produzione militare non è affatto rosea. In poche parole, Mosca non ha assolutamente idea di come riuscire a mettere l’economia russa sul binario dell’economia di guerra.
Ad esempio, la Russia non è al momento in grado di sostituire i droni iraniani, che potrebbero presto esaurirsi, con altri di propria produzione, semplicemente perché la sua industria non è pronta per realizzare tale obiettivo. Né sarà in grado di sostituire rapidamente i carri armati persi o distrutti, come dimostra l’ipotesi di utilizzare i carri armati T-62 da tempo dismessi, sviluppati alla fine degli anni ’50. Il Cremlino è consapevole che la sostituzione degli armamenti esauriti o perduti richiederebbe comunque anni e sa benissimo che non ci può essere un serio aumento della produzione a causa della complessità di tale processo industriale e della mancanza di manodopera, attrezzature e componenti.
In un modo o nell’altro, senza alcuna intenzione di porre fine alla guerra, il Cremlino si sta inevitabilmente muovendo verso il rafforzamento dello “stato di emergenza” militare-burocratico. E anche se questo “stato di emergenza” non può essere pienamente attuato a causa di fattori oggettivi e della latente resistenza della società e dell’apparato burocratico dello stesso Stato russo, aumenterà il costo finale della guerra scatenata.
Tanto più il conflitto andrà avanti tanto più sarà dolorosa la trasformazione politica ed economica della Russia nel dopoguerra. Qualcuno a Mosca tiri il maniglione antipanico e fermi definitivamente le ostilità.