La guerra in Ucraina, che la Russia, secondo molti esperti, sta già perdendo, viene spesso definita coloniale e imperiale. L’esperienza storica mostra che gli imperi, perdendo le guerre, possono crollare. La situazione è aggravata dal fatto che ora nella Federazione Russa, dopo i “referendum” sull’annessione delle regioni ucraine, di fatto non esistono confini riconosciuti a livello internazionale.
Vladimir Putin ha parlato della minaccia del “crollo del Paese” fin dai primi anni del suo governo. La necessità di prevenire un tale scenario, gli ha permesso di giustificare – nel corso degli anni – la costruzione di un potere verticale, con la conseguente soppressione delle iniziative locali, la successiva liquidazione degli enti di autogoverno locale e l’accentramento dei flussi finanziari.
Con la guerra in Ucraina sullo sfondo, alcuni analisti ipotizzano che la Russia potrebbe rivivere, come in un déjà-vu, il destino già toccato all’URSS. Il politologo russo Dmitry Oreshkin ritiene che tale scenario sia improbabile, ma – al tempo stesso – si dice convinto che gli scenari postbellici ipotizzabili per la Russia non possano indurre ottimismo. Per Oreshkin la principale causa di collasso per la Russia potrebbe essere proprio Vladimir Putin, perché nel corso degli anni ha ripristinato il modello sovietico, quando tutto veniva gestito dal “centro”. La “supercentralizzazione”, fu così concepita da Lenin e da Stalin. Lenin, in particolare, iniziò distruggendo la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, politico e militare). Questo modello, però, sotto il profilo puramente economico, non ha superato la prova del tempo. L’Unione Sovietica è crollata, tra l’altro, a causa della mostruosa inefficienza della gestione economica del territorio. Solo per citare due esempi: quando c’era un Ministero della Pesca a Mosca che aveva il compito di determinare le norme di pesca per l’Estremo Oriente, fino a quando le stesse non venivano definite a livello centrale, la pesca non poteva essere praticata. Oppure, se una fabbrica di dolciumi estone avesse voluto iniziare la produzione di una nuova torta, avrebbe dovuto attendere l’approvazione della ricetta da parte di Mosca ed il processo autorizzativo sarebbe durato mesi.
In altri termini, la supercentralizzazione stava soffocando l’economia sovietica e per questo motivo Nikita Krusciov iniziò la decentralizzazione della gestione economica. Leonid Brezhnev, ritenendo che il decentramento rappresentasse una minaccia per i poteri del governo centrale, provvide a centralizzare di nuovo tutto. Più recentemente, Eltsin ebbe problemi molto seri con le regioni, fino alla guerra cecena. Fu così che una delle prime iniziative prese da Putin, quando salì al potere, fu quella di distruggere la libertà regionale. Creò i distretti federali, replicando il modello dell’amministrazione militare, e ritagliano per sé il ruolo di comandante in capo supremo. È evidentemente più facile comandare un tale sistema quando si hanno dieci subordinati anziché 85. Questo sistema, che va bene durante il tempo di guerra, presenta però dei grossi limiti durante il tempo di pace, quando dovrebbero esserci più libertà, più concorrenza, meno monopolizzazione. Putin è arrivato gradualmente a chiudere di nuovo tutto, limitando la libertà economica delle regioni. Sotto Eltsin, la base imponibile delle regioni era divisa a metà, metà andava al centro e metà rimaneva per lo sviluppo delle regioni. Con Putin, secondo i dati di alcuni economisti siberiani, la ripartizione è approssimativamente la seguente: 62% va a Mosca e solo il 38% resta nelle regioni. L’obiettivo di Mosca è far sì che le regioni siano povere, ma obbedienti. Becchino dal palmo del Cremlino. Da queste regioni, Putin attinge il maggior numero di reclute da inviare al fronte, perché sono completamente dipendenti dal Cremlino e dunque silenziose. In questo modo la controllabilità politica è aumentata a discapito del ritmo economico generale di sviluppo che, ovviamente, è drasticamente diminuito.
Non è un caso che negli ultimi dieci anni in Russia si sia registrata una crescita economica quasi pari allo zero per cento. Verrebbe da chiedersi come mai si prosegua con questo modello megacentralizzato se questi sono stati i risultati raggiunti. La risposta è semplice e drammatica al tempo stesso: Per poter raccogliere le risorse economiche a livello centrale ed impiegarle sugli obiettivi del Cremlino. In epoca sovietica: la bomba atomica, l’esplorazione spaziale, Gagarin e tutto il resto. Ora, la guerra in Ucraina.
Putin credeva di rafforzare lo Stato, facendo di sé il centro, ma in realtà ha distrutto le istituzioni che fornivano collegamenti orizzontali. Banalmente, questa situazione si riflette anche sui collegamenti stradali. Tutte le regioni sono collegate con Mosca da strade, ma non sono collegate tra loro. Non ci sono relazioni interregionali. Se si volesse andare dal villaggio di Konyati nella regione di Smolensk, al villaggio di Osovyk nella regione di Bryansk, che geograficamente distano tra loro circa 25 km, occorrebbe prendere l’autostrada federale, percorrendo oltre 150 km. Se si osserva un’immagine satellitare della Russia, si possono notare foreste impraticabili lungo i confini di ogni regione. Il governatore è responsabile del centro della regione e le aree di confine non gli interessano.
Non ci sono istituzioni politiche in Russia, in oltre venti anni Putin le ha distrutte. Ci sono gruppi in competizione tra loro che Putin ha creato per mantenere in “equilibrio” l’intero sistema. Putin, che ha concepito questo modello, si è abituato ad essere un comandante infallibile a cui tutti devono obbedienza, ma l’evoluzione del conflitto ucraino dimostra come ciò possa rivelarsi molto pericoloso. Ecco perché, a lungo termine, questo modello – come sostiene Oreshkin – rappresenterà una minaccia esistenziale per la Russia.