Nel 2011 le Nazioni Unite esprimevano un concetto basilare riguardo al rapporto tra le persone in carcere e il resto della società a cui appartengono: “I detenuti sono la comunità. Vengono dalla comunità e ci tornano. La protezione dei prigionieri è la protezione delle nostre comunità”. Concetti tanto semplici da sembrare ovvi, ma pochissimo assimilati dal comune sentire, anzi spesso ‘coperti’ da altre fraseologie di un pensiero di cieca condanna che purtroppo continua a esistere.
In una visione reale della situazione penitenziaria nazionale è necessario ricordare come le carceri italiane siano in ‘overbooking’. Al 31 agosto 2022 erano presenti 55.637 soggetti a fronte di una capienza regolamentare totale di 50.922 posti. Di questi, 17.675 stranieri e 2.331 donne, con un tasso di sovraffollamento pari al 109,2%, che in termini pratici significa che per ogni 100 posti ci sono 109 persone (fonte dati: Ministero della Giustizia). Il sovraffollamento, la scarsa igiene ambientale, l’effetto del carcere quale grande concentratore di patologie presenti nelle fasce già più emarginate della società, quali tossicodipendenza, alcolismo, malattie infettive, disagio e malattia psichica, fanno ben comprendere quali possano essere le condizioni di vita al suo interno.
Il carcere alimenta operazioni socialmente svantaggiose
Persone che vivono, anche per lunghi periodi, in queste situazioni sono ben lontane da quegli effetti di riabilitazione sociale, bene espressi nella nostra Costituzione e saranno esclusi dal processo di riconciliazione con la società dopo aver scontato il loro debito con essa. Per non parlare degli effetti secondari della carcerazione, quali la perdita del lavoro precedente e la prospettiva di assenza di reddito, la mancata educazione dei figli che vivranno gli anni del loro sviluppo nel distacco dalla figura paterna o materna, la crisi nel rapporto coniugale e le spese legali che aggravano la situazione economica. Quindi il carcere, quale discarica sociale, raccoglie e concentra tutte quelle situazioni che sono sfuggite al controllo dei sistemi sociosanitari e delle comunità urbane e crea e alimenta un’operazione socialmente molto svantaggiosa per l’economia della città. Essa tende ad alimentarsi e automantenersi creando il fenomeno delle c.d. ‘porte girevoli’. Le persone che entrano in detenzione aggravano sempre di più la loro situazione, tendono a recidivare nel reato e a rientrare in carcere anche decine di volte. Un processo che deve essere profondamente rivisto.
Il “Budget di Salute” previsto dalla Legge
Una recente norma (comma 4 bis dell’art. Art. 1 del D. L. 34/2020, convertito in L. 77/2020) prevede nuovi strumenti di gestione sociosanitaria quali il “Budget di Salute” (BdS), un insieme di risorse economiche, professionali, umane e relazionali, necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale della persona, uno strumento generativo che contribuisce alla realizzazione di percorsi di cura nell’ambito di progetti di vita personalizzati in grado di garantire l’esigibilità del diritto alla salute attraverso interventi sociosanitari fortemente integrati e flessibili. Questa norma si indirizza non solo alle persone esenti da malattie e che devono mantenere il loro stato di benessere, ma soprattutto a soggetti portatori di patologie fisiche o sociali come quelle detenute.
Le persone detenute richiedono una presa in carico globale sociosanitaria
Anche in presenza dell’indisponibilità di una casa, la persona tende ad ammalarsi, a peggiorare la propria situazione soggettiva e a gravare maggiormente sull’economia della città. A tale proposito alcune recenti norme riconoscono l’obiettivo prevalente di far diventare il carcere e le misure alternative quali parte di un sistema pubblico universalistico, che incrementa il welfare di prossimità e riconosce che le persone detenute richiedono una presa in carico globale sociosanitaria. Tutti i processi socio-sanitari sono ad alta complessità e non sono realizzabili in tempi brevi, ma richiedono un tempo di modifica strutturale e di pensiero collettivo e piani programmatici e risolutivi. Un tale sistema di presa in carico potrebbe ben ridurre l’inefficienza del sistema di accoglienza/rimpatrio dell’immigrazione irregolare attraverso una solida programmazione di inserimento o di rientro (il 31% detenuti è di origine straniera). Quindi i Comuni dovrebbero cominciare a prevedere le molte linee di competenza riservata a questi settori, permettendo l’uscita dalla invisibilità di queste persone. (1-continua)