L’Italia possiede lo 0,7% dei brevetti nel settore energetico posizionandosi come Paese fanalino di coda in Europa. È uno dei dati che spicca dal Rapporto annuale sull’innovazione energetica dell’Istituto per la Competitività (I-Com), curato da Antonio Sileo e giunto alla quattordicesima edizione.
Nonostante un aumento medio del 2,6 per cento tra il 2010 e il 2020, l’Italia detiene solo 739 brevetti nel settore delle tecnologie energetiche: stesso peso dello scorso anno, quando le domande erano state 715. Anche nel confronto con gli altri Paesi europei figuriamo ultimi per crescita decennale: il Regno Unito presenta un tasso annuo medio di crescita dell’8,1 per cento, seguito da Germania e Francia (rispettivamente al 6 e 6,1 per cento).
“In Italia le risorse destinate alla ricerca e sviluppo sono piuttosto scarse – commenta Antonio Sileo, direttore dell’Osservatorio Innov-E e curatore dello studio – e inferiori rispetto agli Paesi europei. Fatto che inevitabilmente impatta anche sull’attività brevettuale. Quasi che di quest’ultima si sottovalutasse l’importanza e i possibili ritorni”.
Se il numero di brevetti energetici a livello mondiale appare più che raddoppiato, passando dalle quasi 46.000 unità del 2009 alle oltre 109.000 del 2020, la suddivisione geografica mostra una concentrazione di domande nel continente asiatico.
“Con 32.000 brevetti nel corso del 2020 – conclude Sileo – la Cina supera il Giappone, leader storico nell’ambito delle innovazioni energetiche, che si ferma a quota 27.000 confermando così un calo ormai decennale. Rimangono invece stabili in terza e quarta posizione gli Stati Uniti (13.634 brevetti, -7,4 per cento) e la Corea del Sud (12.800, +4,6 per cento)”. La tecnologia a cui è riconducibile la maggior parte dell’attività innovativa? L’energy storage, con 10.250 brevetti e un’incidenza del 47 per cento sul totale globale.
Fonte foto: Imagoeconomica