Oggi non basta una cartolina sbiadita ad accendere il senso di italianità. La nostalgia del passato non viene più vissuta come un patrimonio condiviso da tutti. Se a un uomo adulto chiediamo che cosa lo fa sentire italiano probabilmente risponderà: la patria, la bandiera…
Se facciamo la stesa domanda a un giovane, probabilmente darà mille risposte, molto diverse, anche contraddittorie. L’identità è dunque un fenomeno diverso nel tempo e nelle condizioni.
Un elemento appare però nitido rispetto al passato: l’identità italiana appare molto affievolita agli stessi italiani.
Il sistema di creazione e formazione di valori: scuola, famiglia, istituzioni, Chiesa; quelle agenzie che hanno formato il senso generale comune, tutta la società italiana, oggi queste agenzie sono in crisi e riescono solo in parte ad operare la formazione delle nuove generazioni.
Ad esse si sono sostituiti spazi diversi e continuamente nuovi dove formare opinioni e valori: internet, no-profit, ambienti di lavoro, associazioni.
Nuove agenzie dove si formano percorsi e concetti condivisi.
È lì che bisogna guardare per osservare come si forma un orizzonte comune.
Una “società liquida” molto più “mobile” di quelle del passato. Anche nel rapporto con gli italiani nel mondo occorre osservare elementi diversi.
Se gli italiani emigrati in passato guardavano al nostro Paese ancora con benevolenza e nostalgia — cercando dimettere in luce gli aspetti positivi rispetto a critiche e osservazioni — i “nuovi italiani”, gli italiani usciti dal Paese in anni più recenti, sono meno disposti a tollerare e giustificare i ritardi e i vizi del Belpaese.
Ci giudicano per quello che non funziona, confrontano condizioni tra Paese di provenienza e nuove realtà in cui vivono, esprimono con durezza critiche alla realtà italiana.
Modificano il concetto di identità, annacquandolo in un conte- sto più ampio, sovranazionale, per cui ci si può sentire un po’ italiani, un po’ inglesi, un po’ americani, un po’ italo-americani. A seconda di dove vivono in un determina to momento e con quale realtà si devono rapportare.
È ancora opportuno e necessario cercare allora un’identità italiana?
Sicuramente l’Italia, anche in una società globale, mantiene un fascino e una sua visibilità. L’italiano è riconoscibile per come si veste, per come e per cosa mangia, per il suo gusto.
Questo crea identità.
Ma una superficialità nei comportamenti etici, una certa faciloneria, il voler piegare le regole ai propri interessi (tutti vizi italiani che, seppur non possono essere generalizzati, esistono), ebbene tutti questi atteggiamenti sono in grado di creare, negli altri, un’identità percepita, magari parallela e altrettanto forte di quella voluta.
Qualcuno potrà dire: sono semplificazioni dei media, la Sicilia non è quella del “Padrino”, gli italiani non sono più da tempo mandolini e pizza, non sono come i personaggi della serie “I Soprano”
È tutto vero, ma queste semplificazioni mediatiche ci dicono che abbiamo ancora molto da lavorare sui comportamenti e sui modelli culturali.
Per esempio: oggi si parla molto di cibo di “slow food”, eppure il cibo italiano è tra i più contraffatti al mondo. Olio, pasta, conserve, dolci: prodotti con nome italiano spopolano nei mercati mondiali senza aver nulla di italiano se non il nome, spesso storpiato.
Identità vuol dire anche difendere il marchio italiano con un’ iniziativa di sostegno del prodotto italiano e della proprietà del marchio originale.
Tutte queste condizioni ci fanno dire che l’identità italiana oggi appare in evoluzione rapida ed incerta. Perché non si rivesta solo di nostalgia occorre ridisegnare l’identità su nuovi parametri: una tensione ideale di cambiamento, un orizzonte di progresso più equilibrato e condiviso, una difesa del territorio e del bello insito nella società e nella storia italiana.
Se l’identità, in passato, è parsa un sistema di valori stabilito dall’alto e diffuso nella società per canoni imposti (leggi, religione, nazione), oggi l’identità appare fondata su principi condivisi (comune sentire, campagne di filantropia, difesa del territorio, del posto di lavoro. ..).
Un’identità “liquida” e in continua evoluzione. Difficile da codificare. Spesso illusoria e ingannatrice. E rischiosa.
Perché il rischio di vivere solo nel presente è la grande illusione che stiamo percorrendo. È quello che ci limita sul piano antropologico, perché vivere nel presente significa distruggere la memoria del passato e non avere curiosità del futuro..
C’ è un’acuta riflessione del filosofo Manlio Sgalambro: “Il passato non mi interessa perché era il presente di altri. Il futuro non mi interessa perché sarà il presente di altri. A me interessa il mio presente, oggi”
Questa è stata la malattia italiana. E può rimanere la nostra malattia.