Le misure di contenimento del Covid e i conseguenti lockdown hanno offerto una spinta senza precedenti allo smartworking. Una rivoluzione che, a quanto pare, non si attenuerà nel tempo. Sette aziende su dieci, infatti, (indagine Aidp – Associazione dei direttori del personale 2020), hanno deciso che i benefici del lavoro agile superano le criticità e quindi consentiranno ai propri dipendenti di proseguire a lavorare da casa. Eppure, il bilancio costi/benefici è tutto da analizzare.
Se è vero che, in termini di produttività, l’introduzione dello smartworking ha generato un incremento stimabile nella misura del 15% e un “crollo” del tasso di assenteismo del 70%, nel vuoto degli uffici sono sparite quelle dinamiche di collaborazione e interazione cross-organizzativa che sono parte integrante del processo di fidelizzazione delle risorse umane all’azienda.
Sul versante economico, per le aziende si può ipotizzare un risparmio annuo tra 4mila euro e 6mila euro a dipendente, rispettivamente per 6 e 9 giorni di smart working al mese. Forse, a cercare bene, i risvolti peggiori ricadono proprio sui lavoratori-casalinghi che, ad esempio, vedono impennarsi costi extra legati ad esempio alle utenze domestiche, come ad esempio l’incremento esponenziale di consumi di energia elettrica e gas aumentati, e conseguente impatto sulle bollette, ulteriormente appesantite dal progressivo rincaro delle materie prime. Negli ultimi mesi, dopo che i numeri davano ragione ad un certo ottimismo e gli smart worker sono passati da 5,37 milioni nel primo trimestre 2021 a 4,07 milioni nel terzo trimestre, oggi, con i numeri della curva pandemica in aumento l’esigenza di tornare a lavorare da casa potrebbe aumentare.
Un’altalena che può mettere in difficoltà molti uffici del personale. Quali soluzioni adottare non è un affare semplice. Le imprese si stanno progressivamente attrezzando in prospettiva del lungo periodo e del fatto che il rischio lockdown non sia del tutto scongiurato e stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro che coniughino presenza e distanza senza pregiudicare la produttività e rimodulando obiettivi e valutazioni delle performance.
Oggi progetti di smart working strutturati o informali sono già presenti nell’81% delle grandi imprese e nel 53% delle PMI. È ineluttabile che questa transizione prosegua, anche per venire incontro sia alle aspettative dei lavoratori sia per cogliere gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese.
Una rivoluzione che porta con sé l’esigenza di ripensare i processi di gestione delle risorse umane, aggiornando contestualmente la dotazione ICT per favorire l’interazione tra azienda e lavoratori in remoto e i sistemi di elaborazione degli obiettivi aziendali sulla base di tempi e dinamiche dei team che subiranno modificazioni definitive.
Si tratta di una pianificazione che non può essere affidata all’improvvisazione ma che richiede una managerialità specifica e anche l’introduzione di figure tecniche specifiche. Si dovrà in qualche modo procedere per percorsi paralleli intervenendo, da parte delle imprese, su policy, come detto le adeguate tecnologie, gli spazi di lavoro e i criteri di leadership e gestione dei gruppi. D’altro canto, i lavoratori dovranno procedere verso programmi di riqualificazione per acquisire skill più adeguate ai nuovi equilibri tra lavoro e vita privata mentre le istituzioni, che non possono tirarsi fuori da questo contesto, dovranno accompagnare questo processo con gli adeguati supporti legislativi e organizzativi”.
*Andrea Pietrini, Chairman di YOURGroup
Il National Labor Relations Board respinge la denuncia della UAW contro il senatore repubblicano Tim Scott