A due mesi dall’entrata in vigore del Codice Rosso, ossia l’introduzione di norme che prevedono procedimenti penali più veloci, l’inasprimento delle pene e l’istituzione di nuove fattispecie di reato (il matrimonio forzato ed il revenge porn) per prevenire e combattere la violenza domestica o di genere, le denunce di violenza, che adesso vengono immediatamente segnalate alle Procure, sono aumentate esponenzialmente.
Se da un lato sta emergendo la reale dimensione del fenomeno, dall’altro il nostro sistema si sta rivelando impreparato a gestire tutte le segnalazioni: le denunce si accumulano e rendono difficile concentrarsi sui casi più gravi.
Il codice, che ha un importante impatto normativo, è stato varato senza creare un’adeguata struttura con mezzi e risorse per rispondere qualitativamente e quantitativamente alle esigenze di chi subisce violenza: non sono stati stanziati fondi, il personale non è stato incrementato e non sono stati realizzati corsi specifici.
Ma il contrasto alla violenza di genere non può basarsi solo su un’impalcatura normativa: fattori cruciali sono la prevenzione, l’intervento in ambito educativo ed il processo di rafforzamento delle donne (a livello occupazionale, economico, sociale e politico)
Anche nella comunicazione pubblica, sia politica che mediatica, le violenze vengono raccontate come perdita di controllo degli uomini, sottolineando la straordinarietà dell’azione attraverso l’utilizzo di parole come “raptus”, “eccesso di passione”, “passione malata”, “follia”, e trascurando l’ordinarietà delle violenze.
La violenza è l’atto estremo che si sviluppa in contesti sociali e nei diversi ambiti della vita quotidiana in cui permangono fattori di discriminazione.
Senza la promozione di un cambiamento nei comportamenti che sono alla radice della discriminazione e della violenza di genere non sarà possibile creare una cultura e dei modelli veramente efficaci contro la violenza.