Dopo ogni tornata elettorale locale si interpretano i risultati delle urne come se fossero un antipasto di ciò che succederà alle prossime elezioni politiche. Così, dal netto successo del centrosinistra nelle recenti elezioni di importanti città si deduce che ormai per il Pd i tempi bui sarebbero finiti. E c’è addirittura chi sollecita un ricorso anticipato alle urne per andare al presunto incasso di voti e seggi. Enrico Letta, con prudenza, ha negato che sia questa la linea del partito e ha augurato lunga vita al governo Draghi. E ha fatto bene. Una rondine non fa primavera.
Il Pd ha vinto perché ha proposto candidati di miglior qualità di quelli del centrodestra, perché gran parte del M5S -non avendo suoi cavalli su cui puntare- ha sostenuto al secondo turno i candidati del Pd e perché le periferie dove il Pd non è molto forte non hanno votato. Ma questo scenario non è detto che si ripeta alle politiche.
Nei collegi uninominali la logica della coalizione si impone ma il Pd dovrebbe riuscire a tenere insieme non solo gli ex di Articolo1, ma anche i seguaci di Calenda e di Renzi che si oppongono all’alleanza con i 5 Stelle. Un’alleanza ritenuta -a ragione- indispensabile da Letta. Alle politiche non c’è il doppio turno.
Il Pd ha molto lavoro da fare. Confortato dall’ottimo risultato ottenuto può lavorare con una maggiore serenità e con maggiori speranze ma deve andare a cercare di recuperare il consenso dove lo ha perso, cioè nelle fasce più disagiate della società, e saper intercettare e incanalare il voto di protesta che finora era stato preda dei populisti a 5 Stelle e dei sovranisti della destra. È questa la sfida principale per il Nazareno. Non può puntare tutto sulle ipotetiche alleanze.
Trovare un’intesa sarà molto difficile con Calenda, quasi impossibile con Renzi. Letta si deve augurare che Conte mantenga la linea senza troppe emorragie.
Schiodare dal misero 18% non sarà una passeggiata. L’iniezione di ottimismo del successo elettorale locale potrebbe non bastare.