Va riabilitato il titolo di “onorevole” per i parlamentari e contestualmente va in soffitta l’appellativo di “cittadino portavoce”, i giornalisti non sono più “pennivendoli” o “morti che camminano”, Berlusconi non è più lo “psiconano”, il Parlamento non potrà essere aperto come “una scatoletta di tonno” e la povertà, purtroppo, non risulta ancora abolita.
Queste, sul piano di una coraggiosa revisione del linguaggio, le prime conseguenze della determinazione di Conte di imprimere un volto e una missione nuovi al movimento dei 5 Stelle, dove, nel frattempo, si è dissolto il condizionamento di Casaleggio e va in ombra la stessa influenza di Grillo.
In questa prospettiva, non sarà più un problema, a quanto sembra, la questione del vincolo del doppio mandato per gli eletti: si applicheranno con buon senso le stesse regole dei partiti tradizionali che prevedono eccezioni per personalità meritevoli e di spicco.
Più problematico appare l’orizzonte che sembra proporsi Conte: quello di fare del Movimento, che forse cambierà anche nome, il nuovo partito del ceto medio, quasi a farne un emulo della mai abbastanza compianta Democrazia Cristiana.
Qui, se questo è l’obbiettivo, la questione si fa complicata.
La Democrazia Cristiana non nacque come un partito concepito in provetta: si edificò sulla prima esperienza del Partito Popolare di Sturzo come punto di riferimento di un’ampia realtà popolare di ispirazione cattolica, ma concretamente e visibilmente pluralista, ben oltre i confini del ceto medio dell’epoca.
Una costruzione politica, quindi, fatta di ispirazione ideale di alto profilo, con un leggibile sistema di valori e con una strumentazione progettuale che mirava visibilmente all’edificazione di una società più giusta e solidale.
Non sarà facile-anche se ce lo auguriamo- innestare questi fermenti ideali e programmatori in un partito concepito originariamente come una catapulta e un’alternativa radicale al sistema democratico.
Se la scommessa di Conte riuscirà, sarà di grande vantaggio per la salute del regime democratico e il futuro della Repubblica.