La lotta per una giustizia giusta è ancora lontana dal concludersi, ma nel frattempo le cronache continuano spesso ad occuparsi degli indagati come se fossero già colpevoli e nei pochi casi in cui la loro innocenza è provata – piuttosto che dalla prescrizione – dal provvedimento di archiviazione che garantisce la regolarità della loro condotta, quella stessa stampa che in precedenza li aveva additati al pubblico ludibrio si guarda bene dal comunicare ai lettori l’esito delle indagini e l’attestazione di innocenza che li riguarda.
L’ultimo caso è quello di Antonio Serrao, per molti anni dirigente di sezione nella segreteria del Consiglio di Stato e poi promosso al rango di direttore generale, fino al collocamento a riposo.
Serrao fu indagato, unitamente ad altri magistrati e avvocati che ruotano attorno al nostro sistema di giustizia amministrativa, addirittura per corruzione in atti giudiziari (lui che nemmeno era giudice!) e subito apparve chiara anche agli inquirenti l’inconsistenza delle accuse mossegli dal solito pentito a orologeria, per cui all’inizio del corrente anno lo stesso Pubblico Ministero ha chiesto di archiviarne la posizione e il Giudice per le indagini preliminari di Roma ha accolto, circa quattro mesi dopo, quella richiesta.
Le vittime del giornalismo irresponsabile
La stampa che se ne era occupata, però, si è ben guardata dal riferire l’esito della vicenda, né il Serrao si è premurato di domandarne la diffusione nei modi di legge, magari accompagnandola con una richiesta di risarcimento del danno nei confronti di quel giornale che aveva addirittura, falsamente, diffuso la notizia di un suo arresto: peraltro mai richiesto e tantomeno avvenuto.
Oggi quel dirigente è un pensionato felice e dobbiamo ritenere che voglia solo dimenticare la brutta vicenda nella quale è stato, suo malgrado, coinvolto; riteniamo però di dover dar conto dell’accaduto non solo per un elementare senso di giustizia, ma anche per domandarci quanti Serrao continuino a subire la gogna mediatica che fa vendere qualche copia in più ai giornali che la attivano, ma che continua a rendere attuale la vicenda immortalata da Heinrich Boll ne “L’onore perduto di Catharina Blum”, ove si narra di una giovane, cameriera presso una famiglia della buona borghesia di Colonia, ingiustamente accusata di complicità nella fuga dell’uomo che ama e perciò stesso trattata – dalla grande stampa – anche Lei come una terrorista.
Vale la pena ricordare quella vicenda, che si ispira a fatti realmente accaduti: Quattro giorni più tardi, la donna bussa infatti alla porta del commissario Moeding per confessare l’omicidio del giornalista Walter Tötges, autore di una campagna diffamatoria ai suoi danni. Heinrich Böll si attiene alla cruda realtà per far luce sulle ragioni di un delitto così assurdo e racconta la morsa di pregiudizi e menzogne che stringe Katharina, come ogni altra vittima dei roghi mediatici accesi da certi giornali.
Quel romanzo è del 1974, ma a quasi cinquant’anni di distanza sembra che non sia stato fatto neanche un piccolo tratto di strada per mettere sullo stesso piano alcuni giornalisti di cronaca nera e le vittime dei loro scritti.
Forse è arrivato il momento di fare qualche ulteriore passo, assicurando tutela anche alle vittime di erronee attenzioni mediatiche: ne guadagnerebbe sicuramente la giustizia.