È bello alzarsi al mattino e fermarsi un attimo prima di snodare la giornata tra impegni creati e silenzi rubati. È giusto riannodare il nastro della propria storia cercando di inserire sempre, nel copione della recita che affascina chi ha paura di essere ciò che è, il termine “gratitudine”, parola magica che colora la bellezza dell’essere e fa sentire ogni uomo e ogni donna parte viva di un creato offerto con amore e gratuità. Dire “grazie”, sentirselo fra cuore e anima come segno di riconoscenza e umiltà nei confronti del Creatore che da’ tutto e realizza tutto in un piano d’amore che non avrà mai fine.
Gratitudine, espressione dolce di un “Grazie” che apre le porte del proprio essere verso la meraviglia e fa udire il canto del creato e la solarità del suo Creatore. Al contrario, quando si è troppo presi di se., vittime del vortice dell’avere e dell’apparire, schiacciati dall’arroganza di fare di tutto per gareggiare contro il prossimo e piazzare i paletti del proprio “ego” tra meschinità e frustrazioni, ecco che ogni cosa diventa buia, puzza di morte e ogni espressione di gratitudine viene frantumata dalla malattia dell'”asso piglia tutto”.
Eppure in questo istante penso a quella scena del Vangelo quando Gesù di Nazareth risuscita l’amico Lazzara e precede il gesto di “Vita” con il ringraziamento a Dio Padre “Ti Ringrazio Padre perché…”- Che meraviglia di cuore e di dialogo, che sintonia d’amore e espressione di abbandono nel grazie più vero che successivamente da’ la vita. E come non ricordare Paolo Borsellino che dell’amico Giovanni disse “E’ morto per Amore, non è fuggito da Palermo per amore…e noi abbiamo in grande debito e lo dobbiamo pagare gioiosamente”. Gratitudine e gioia, due braccia che si stringono e rendono felici gli umili, quanti sanno di poter dare sempre e ovunque il meglio di sé certi che solo ciò che si semina si raccoglie.