La cultura italiana non è quella della mediazione ma del giudizio. Per il sociologo Eligio Resta: “ al giudice chiediamo tutto, anche la felicità e poi ce la prendiamo con lui perché non ce la può dare o non ce l’ha data” .
L’approccio tradizionale è quello di portare il conflitto davanti al giudice, come se la lite familiare fosse paragonabile a un qualsiasi altro tipo di contenzioso.
Ma la realtà dei nostri uffici giudiziari è compatibile con una sana e corretta gestione dei conflitti familiari? La risposta non può che essere negativa. Manca un giudice specializzato. Attendiamo ancora il varo del tanto auspicato Tribunale della Famiglia. Fatta eccezione per qualche tribunale, come quello di Milano e di Roma che dispone di sezioni alle quali tabellarmente è devoluto in via esclusiva il contenzioso familiare, per il resto, in primo grado, le cause di famiglia sono trattate promiscuamente alle altre. L’attività di mediazione impropria degli operatori del processo, che nulla a che vedere con il pianeta della mediazione familiare, è ancora oggi l’unico contributo concreto alla pacificazione del conflitto.
IL MEDIATORE FAMILIARE
È innegabile che soluzioni concordate, frutto di una programmazione e di una decisione partorita all’interno della coppia sono più efficaci di una decisione imposta totalmente dall’esterno.
L’avvocato che non è mediatore, perché coinvolto nella difesa, è per le parti un vero ed unico “intermediario” di pace, come dimostra il gran numero di ricorsi per separazione consensuale e per divorzio congiunto, e più di recente, di accordi extragiudiziali. L’avvocato non esercita un mandato per fomentare le liti, bensì per prevenirle ed arginare la deflagrazione giudiziaria ma alla sua funzione deve aggiungersi quella del mediatore familiare, la cui competenza professionale è volta ad evitare traumi e disagi alla coppia ed a recuperare quel dialogo costruttivo, presupposto indispensabile per una buona genitorialità.
Auspichiamo che il buon legislatore intervenga ed investa risorse per abbattere la crisi familiare con la stessa efficacia con cui è intervenuto sulla crisi di impresa. Introdurre e disciplinare anche per la famiglia i c.d. “strumenti di allerta” ed i relativi “obblighi di segnalazione” della crisi a carico dell’institore familiare- giudice della famiglia e perimetrare i doveri di vigilanza e custodia del buon andamento dell’impresa-Famiglia potrà assicurarci una buona e redditizia “pace sociale“.