Accoglienza secondo il dettato evangelico. Ma anche, e soprattutto, “politiche di servizio e di sviluppo, in modo da evitare che i migranti siano strappati ai loro affetti e che possano sviluppare le loro capacità, trasformando le terre d’origine in fari di cultura e di speranza”. Nicolò Mannino, presidente e fondatore del Parlamento della Legalità Internazionale si accinge a coordinare i lavori del Terzo Congresso Nazionale della sua organizzazione, ormai ramificata in tutta Italia ed anche all’estero, che gode dell’apprezzamento delle autorità nazionali e della Santa Sede.
Il Parlamento della Legalità Internazionale si caratterizza, fin dalla nascita, per la sua multiculturalità. Come giudicate il fenomeno dell’immigrazione?
“È indubbiamente un tema forte, che ci vede impegnati in prima linea. Basta considerare che al nostro Terzo Convegno nazionale, -in programma il 7 settembre al Palazzo arcivescovile di Monreale – sarà presente anche don Fabio Maiorana, nuovo parroco di Lampedusa, il quale ci porterà la sua testimonianza e ci aiuterà a formare l’Ambasciata della Pace, anche perché è socio onorario del Parlamento della Legalità Internazionale”.
Quale è la vostra posizione sulla gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese?
“Siamo, innanzi tutto, per l’accoglienza cristiana e, dunque, per dare concretezza alle parole del Vangelo: Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Ciò detto non possiamo prescindere da uno sguardo d’insieme sula nostra realtà territoriale”.
E quindi?
“E quindi non possiamo ignorare che dalle nostre parti ci sono famiglie che vivono nell’indigenza più totale e non hanno i soldi nemmeno per comprarsi le medicine. Senza, dunque, voler innescare una guerra tra poveri, riteniamo che sia opportuno agire sul piano politico per pretendere qualcosa in più dall’Europa in modo da poter aiutare questi nostri fratelli nelle loro terre”.
Aiutiamoli a casa loro, come dice qualcuno?
“Accogliamo chi arriva cristianamente come un fratello, ma agevoliamo il percorso di chi ha diritto di restare nel nostro paese e superiamo la logica dell’assistenzialismo puro e semplice che non porta da nessuna parte”.
In che senso?
“Certamente non aiuta questi uomini, donne e bambini che subiscono il trauma dello sradicamento e ogni genere di umiliazione fisica e psicologica. In conclusione, accoglienza sì, ma sarebbe opportuno che si mettessero in campo delle politiche di servizio e di sviluppo, in modo da evitare che i migranti siano strappati ai loro affetti e che possano sviluppare le loro capacità, trasformando le terre d’origine in fari di cultura e di speranza senza umiliarli a traffici illeciti che gridano vendetta a giustizia al cospetto di Dio”.
Lei ha appena pubblicato un volume su don Tonino Bello dal titolo “Profeticamente scomodi. Quando un uomo si sporca le mani”: quanto ha preso in prestito dal messaggio di questo grande vescovo del Sud?
“In effetti anche sull’immigrazione ci ispiriamo al suo messaggio. Infatti all’accoglienza fraterna, fatta con il cuore, deve essere associata una politica internazionale di ampio respiro che punti ad eliminare le cause che sono alla base della immigrazione di massa. Bisogna sporcarsi le mani per fare in modo che ognuno abbia il diritto di essere felice nella terra dove è nato…”.