Sembra ora in discesa la strada – e il dubitativo è appropriato – verso la formazione di un governo basato sull’intesa tra il M5s e il Pd.
I nodi, allo stato dell’arte, sembrano ridursi a una sola delicata questione: quella della collocazione, di imposizione di prestigio di Di Maio che aspira tuttora ad essere confermato nel ruolo di vice presidente del consiglio, oltre che di ministro.
Una aspirazione, questa, non condivisa dal Pd che rileva come alla riconferma di Conte, comunque riferibile al Movimento, non possa che accompagnarsi l’attribuzione di una sola vicepresidenza a un esponente del partito democratico.
La questione sembra tuttora aperta, mentre è stato chiarito che la consultazione via web dell’abate del M5s non intaschi le prorogative dei capigruppo di offrire, tra poco, al Capo dello stato la posizione ufficiale del Movimento.
Stamane, Zingaretti ha ottenuto un pieno mandato dalla direzione del Pd a concludere la trattativa e a rappresentare a Mattarella la posizione ufficiale del partito. C’è stato un solo voto contrario, quello di Richetti. Tranciante, invece, la decisone di Calenda che ha annunciato le sue dimissioni dal partito in segno di protesta per quella che definisce un’alleanza innaturale, accompagnata dalla determinazione a costituire un nuovo partito.
Identica la decisione di Paragone, che lascerebbe il gruppo dei pentastellati; un gruppo dove appare logorata la posizione di Di Maio: difesa da tutti a parole, ma criticata per i suoi cedimenti a Salvini
Se tutto oggi filerà liscio, il Capo dello stato dovrebbe affidare domani l’incarico a Conte di formare il nuovo governo ma, se nascessero riserve e contrasti imprevedibili, a una personalità in grado di portare il paese verso elezioni anticipate.
Un ultima annotazione: restano tuttora oscuri, salvo gli enunciati qualche giorno fa, i contenuti delle intese programmatiche, le uniche che consentirebbero di capire strategie e obiettivi della nuova alleanza.