giovedì, 19 Dicembre, 2024
Economia

Imprese sociali: 22 mila aziende e 650 mila dipendenti. Orlando: Settore da difendere

Le imprese sociali sono una risorsa. Lo dicono senza retorica, i numeri e l’impegno dei lavoratori e di una vasta schiera di volontari. In Italia sono oltre 22mila le imprese sociali che occupano quasi 650mila dipendenti. Il 57,5% sono cooperative sociali e a seguire associazioni (15,4%). Rispetto al Censimento del 2011, si registra un aumento del 10,2% di imprese e del 19% come addetti. Oltre il 40% occupa più di 10 addetti. Il 46,3% hanno un fatturato inferiore ai 200 mila euro, anche se il 10,8% supera i 2 milioni di euro.

Quasi la metà opera al Nord dove il 37,2% delle imprese ha un fatturato superiore ai 500mila euro, mentre al Sud il 55,2% ha un fatturato che non supera i 200mila euro. Il 31% delle imprese sociali opera nei servizi sociali, il 19% nell’inserimento lavorativo, ma significativa anche la componente attiva nel settore istruzione e ricerca e cultura e sport e sanità.

Sono i dati della “IV edizione del Rapporto sull’impresa sociale di Iris Network – L’impresa sociale in Italia”. Identità, ruoli e resilienza a partire da elaborazioni su dati Istat. Con i dati del Censimento permanente delle Istituzioni non profit del 2020, anno di riferimento 2018.

Il Rapporto è stato presentato con la partecipazione di Carlo Borzaga (presidente di Euricse), Marco Musella (presidente di Iris Network), Giovanni Fosti (presidente di Fondazione Cariplo), Elena Granaglia (professore ordinario all’Università degli Studi di Roma Tre), Eleonora Vanni (presidente di Legacoopsociali) e Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Nella IV edizione di questa pubblicazione periodica che descrive lo stato dell’arte e l’evoluzione dell’impresa sociale in Italia vengono esaminate le dimensioni e le caratteristiche del settore, il contributo alla crescita economica/occupazionale, al benessere dei destinatari dei servizi e alle politiche sociali, e la reazione alla pandemia da Covid-19. Su quest’ultimo tema è stata realizzata una ricerca originale tesa a verificare le strategie di resilienza e le loro determinanti.

“Quando, con il distanziamento sociale e il lockdown si è capita la gravità della situazione per il settore dei servizi sociali, sono stati in molti a chiedersi che fine avrebbero fatto le oltre 22mila imprese sociali e i loro 650mila occupati. E con esse una parte significativa dell’offerta di servizi alle persone più fragili”, spiega Carlo Borzaga, presidente di Euricse e curatore del volume assieme a Marco Musella, presidente di Iris Network. “Una preoccupazione accentuata da una rappresentazione di queste imprese come prive di autonomia e risorse, nonché dipendenti finanziariamente e organizzativamente dalle pubbliche amministrazioni. E questa è stata una delle domande centrali alle quali il Rapporto ha cercato di dare risposta, a partire da 120 casi di resilienza e da oltre 50 interviste a responsabili nazionali e regionali”.

Confermando quanto già emerso nelle cronache dei mesi di lockdown, l’indagine di Iris Network suggerisce innanzitutto che sono state molte le imprese sociali che hanno mostrato un comportamento resiliente. Chiamate in prima linea, hanno saputo trasformarsi, talvolta in maniera radicale, per portare avanti le attività e continuare ad essere punti di riferimento per i propri utenti e le comunità.

Nello specifico, le imprese sociali hanno messo in atto tre strategie di resilienza: il mantenimento e il rafforzamento dei propri servizi, sostenendo spesso direttamente l’aumento dei costi; la riprogrammazione delle attività, che spesso si è tradotta nel passaggio al digitale dei servizi prima previsti in presenza; l’ampliamento dell’offerta per far fronte alle aumentate fragilità che la pandemia ha portato con sé.

“Vari fattori stanno determinato la capacità di tenuta delle imprese sociali e più in generale degli enti di terzo settore”, conferma Giovanni Fosti, presidente di Fondazione Cariplo, che ha sostenuto Iris Network per la realizzazione del Rapporto. “Anche alla luce di quanto emerge da recenti ricerche di Cariplo, sottolineerei quattro aspetti: la solidità organizzativa delle imprese sociali, i loro valori di riferimento, la capacità connettiva con il territorio e l’investimento in competenze”.

Attento allo sviluppo e alle iniziative delle imprese sociali si mostra il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che ha condiviso le premesse da cui trae origine il Rapporto. “Mi sembra giusto continuare a sottolineare l’importanza di questo che è cresciuto nel tempo sia in termini di numerosità di imprese, di servizi erogati e di personale assunto”, fa presente il ministro Orlando, “e non è da poco riflettere sulla sua buona capacità di generale occupazione, spesso in controtendenza con altri settori economici. E anche in tempo di crisi le imprese sociali hanno saputo adattare velocemente la propria offerta di servizi, una capacità di rapida rimodulazione che sarà quanto mai essenziale anche durante la ripartenza”.

“Il ministro”, ha poi ricordato, “all’interno delle dieci proposte formulate dagli estensori del Rapporto per una strategia di sviluppo dell’impresa sociale – l’importanza della relazione tra gli enti di terzo settore e le pubbliche amministrazioni, anche alla luce della recente sua firma del decreto di adozione delle Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed Enti del Terzo Settore”.

Hanno chiuso il dibattito gli interventi di Elena Granaglia – professore ordinario all’Università degli Studi di Roma Tre – che ha sottolineato come il Rapporto Iris Network dischiuda i contributi plurali, molti e profondi, che lo sviluppo dell’impresa sociale può avere anche all’interno del primo welfare e nel declinare il tipo di sviluppo economico verso il quale dovremo muovere. Ed Eleonora Vanni – presidente di Legacoopsociali – che ha ribadito “l’importanza di individuare con chiarezza la distintività dell’impresa sociale, sia rispetto al più vasto ecosistema di enti di terzo settore, che ad altre forme di imprese: una forma organizzativa che opera per un’economia diversa e mette al centro i bisogni delle persone”.

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