L’America si muove per far ripartire il Paese. Biden presenta il suo piano di rilancio da 2 trilioni di dollari per infrastrutture e nuovi posti di lavori, finanziato dall’aumento delle tasse sui ricchi e sulle imprese, perché convinto del: ”Staremo meglio quando tutti staranno meglio”. E punta anche al recupero di quel circa 40 per cento dei profitti delle maggiori multinazionali mondiali – più di 700 miliardi di dollari – nascosto in paradisi fiscali. Per farlo, la nuova amministrazione intende portare l’aliquota dell’imposta sulle società al 28 per cento e, per evitare che la nuova politica fiscale generi una fuga all’estero delle grandi compagnie statunitensi, Washington interverrà con i partner internazionali per l’imposizione di una tassa minima globale sulle multinazionali.
I PARADISI SUPERSTITI DOPO I RAPPORTI OCSE
Secondo il nostro Ministero dell’economia sono circa 32 i luoghi offshore superstiti nel 2020 dopo il “Common Reporting Standard” (CRS), l’accordo approvato dal Consiglio dell’Ocse il 15 luglio 2014, in cui si invitano le giurisdizioni dei paesi aderenti a ottenere informazioni dai loro istituti finanziari e scambiare automaticamente tali informazioni con altre giurisdizioni su base annuale: Andorra, Bahamas, Barbados, Barbuda, Brunei, Gibuti, Grenada, Guatemala, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Vergini statunitensi, Kiribati, Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman,Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant’Elena, Isola di Sark, Seychelles, Tonga, Tuvalu.
I CINQUE LUOGHI OFFSHORE IN EUROPA
Ma la ONG Oxfam fa notare che il blacklisting non riguarda i Paesi Ue e che se Bruxelles applicasse anche ai suoi Stati membri i criteri elaborati per le giurisdizioni extra europee, nella blacklist dei tax haven entrerebbero a pieno titolo ben cinque nazioni dell’Unione: Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi, alle quali aggiungerne altre, come la Polonia, inserite in quell’area grigia di chi ha assunto l’impegno di adeguarsi al “Common Reporting Standard” entro precisi termini temporali, ma che ad oggi non rispettano pienamente i criteri europei di equità e trasparenza fiscale.
I CITTADINI EUROPEI CHIEDONO REGOLE PIU’ SEVERE
Per i cittadini europei, è tempo di intervenire. Secondo quanto riportato dall’Eurobarometro standard, pubblicato a luglio 2017, l’86% è favorevole a “regole più severe sull’elusione fiscale e sui paradisi fiscali”, solo l’8% si ritiene “contrario all’idea”. Stessa percentuale in casa nostra. Il sondaggio dell’Istituto Demopolis condotto per Oxfam Italia nel mese di ottobre 2016 ha rivelato come l’83% degli italiani sia favorevole all’implementazione di misure sanzionatorie efficaci nei confronti dei paradisi fiscali. Anche perché una maggiore tassazione sulle multi nazioni giocherebbe a favore dell’Italia in cui la pressione fiscale sulle imprese è tra le più alte.
OTTIMISTA MA CAUTO IL NUOVO SEGRETARIO OCSE, CORMANN
Ma rispetto alla determinazione dell’amministrazione Biden di trovare le coperture finanziarie per la ripresa intraprendendo una strada imprvia come quella di tassare i più ricchi e sferrare una offensiva contro i paradisi fiscali, le parole del segretario generale in pectore dell’Ocse, l’australiano Mathias Cormann, sembrano molto più tiepide. Al “Financial Times”, infatti, avrebbe semplicemente dichiarato di essere “ottimista” sulla possibilità di un’intesa, che “permetterebbe ai governi di riscuotere più tasse dalle multinazionali”.