La crisi non si arresta a parole e incentivi improduttivi. L’occupazione ha bisogno di investimenti, risorse per le imprese, di banche che sappiano agire sul territorio. La lezione della pandemia ci dice che servono impieghi stabili e non i lavoretti che creano pericolose incertezze e disuguaglianze.
Chi ricorda l’apoteosi che ne fece una larga parte della politica italiana della nascente New Economy? Chi nella sinistra si infervorò al punto di vedere risolti i problemi della occupazione attraverso la “Flessibilità” e la fine del “Posto fisso”? E, ancora, con quale modello è stato sostituito il contestato e abolito – dalla sinistra – articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Che lo sciopero dei riders, dei corrieri, dei lavoratori Amazon e dei precari in genere non infervorì gli animi della politica nazionale, nemmeno di quella che pareva fosse tutta dedita a dire fine alla povertà, è un fatto su cui riflettere.
La prima Repubblica venne dipinta come antiquata, perché il mondo cambiava e i partiti tradizionali erano fatti da “notabili” inamovibili. Si innalzavano inni e bandiera in favore del cambiamento e della globalizzazione, della fine del posto fisso e in favore dei “Capitani coraggiosi” a cui andarono i gioielli dell’industria e servizi dello Stato, con risultati deludenti se non addirittura controproducenti.
UN DRAMMA SOCIALE E POLITICO
Il tutto a beneficio dei molti antagonisti interessati a ridurre i margini di azione delle politiche sociali e popolari che il partito di De Gasperi, Moro e Zaccagnini, rappresentava, così come a sinistra il Pci, che con l’allora segretario Berlinguer, non esitò il 26 settembre del 1980 ad essere presente davanti ai cancelli della Fiat dopo un lungo sciopero degli operai.
Insomma si dirà fatti di altri tempi, perché oggi la politica è “comunicazione” è più “liquida” al pari della società che deve rappresentare. Eppure i silenzi sulle condizioni del precariato in Italia hanno per noi il sapore di un dramma sociale e politico rilevante di cui non si vuole prendere atto. Lo dicono i numeri, quelli che mostrano una crescita di precariato a cui i partiti non prestano attenzione.
Nei giorni scorsi lo storico Luciano Canfora, con la lucidità che gli è propria come studioso e la puntualità di analisi della crisi politica italiana, a proposito del distacco dei partiti-il suo richiamo era al Pd, ma può valere per tutti- sottolineava: “non è che i problemi sociali sono scomparsi. Ci sono, si sono moltiplicati, articolati in modi diversi rispetto al passato”.
Questa nuova articolazione sta creando, aggiungiamo noi, una crescita di disuguaglianze ed emarginazione che non sono più sopportabili.
La precarietà oggi innesca una crisi nella crisi perché per un ragazzo e anche per un over 50 le possibilità che una banca possa aprire una linea di credito è difficile, se non ha un contratto e un impiego duraturo.
Che si possa progettare una vita non sapendo cosa accadrà domani al proprio lavoro è impossibile.
DISOCCUPAZIONE IN CRESCITA
I recentissimi numeri sull’ occupazione – come sottolineano gli analisti – “fotografano al meglio, più di tante parole” l’impatto della crisi legata alla pandemia e a tutti gli altri mali che affliggono il lavoro in Italia: da febbraio 2020, data di inizio dell’emergenza sanitaria, a dicembre 2020, l’occupazione è scesa di 426mila posti. Si è registrato un crollo della occupazione femminile. I contratti a tempo determinato sono stati falcidiati. A dicembre 2020 in soli 30 giorni sono stati persi oltre 100 mila posti, di giovani e persone sotto i 50 anni che si sono trovati senza più risorse e lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile è tornato a sfiorare il 30% con il flop di misure come “Garanzia giovani” o di “Io resto al Sud”, dove, agli annunci ottimistici, fa riscontro una realtà molto deludente.
Inoltre nel Paese ci sono circa mezzo milione di persone inattive, che il lavoro non lo cercano nemmeno più.
Questa la difficile realtà di oggi che, finora, non è precipitata solo per il blocco dei licenziamenti e le misure di Ristori dell’ex Governo Conte e del recente decreto Sostegni del Governo Draghi.
La situazione però si fa ogni mese più grave. L’interrogativo è: possiamo uscirne?
OCCORRONO RIFORME CORAGGIOSE
Le possibilità ancora una volta ci sono ma serve coraggio. Sono necessarie riforme vere quelle che chiedono le imprese, i sindacati, le Associazioni di categoria, e anche quella parte politica che inizia a fare i conti con una società italiana allo stremo. È necessario tagliare il costo del lavoro; così come è urgente sostenere le imprese che assumono, quelle che creano occasioni di lavoro stabile. Servono incentivi veri per ricreare un tessuto produttivo che dia una occupazione stabile.
Servono nuove tutele a chi ne è privo. Così come realizzare un grande piano per l’occupazione femminile. Ridare forza allo stato sociale non con benefit improduttivi ma stimolando la produttività e il lavoro. Rimettete mano alla Pubblica amministrazione e ad una burocrazia lenta e dispendiosa. Così come permettere alle banche di investire e convincere di fare lo stesso a chi ha depositi milionari fermi sui conti correnti.
Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi e capiremo se la lezione della pandemia è servita a farci toccare con mano l’urgenza di fare riforme concrete che abbiano finalmente risultati duraturi.
La sola propaganda non salverà la politica né darà lavoro ai precari e opportunità ai giovani, con un un futuro che rischia di sfuggirci pericolosamente di mano.