L’Istat ha diffuso le stime preliminari della povertà assoluta per l’anno 2020 e, come era prevedibile dopo un anno di pandemia, la povertà assoluta torna a crescere dopo anni che sembravano, invece, registrare un lento miglioramento, toccando il valore più elevato dal 2005. Si parla di 335 mila nuclei famigliari in più rispetto al 2019 e circa 1 milione di nuovi poveri in 12 mesi, per un totale di 5 milioni e 600 mila persone.
Al Nord la povertà cresce di più, ma nel Mezzogiorno resta la più alta. Nel 2020 la spesa media mensile torna ai livelli del 2000 (2.328 euro; -9,1% rispetto al 2019). Rimangono stabili solo le spese alimentari e quelle per l’abitazione, mentre diminuiscono drasticamente quelle per tutti gli altri beni e servizi (-19,4%). Nel 2005 erano gli anziani sopra i 65 anni la fascia di età a trovarsi più spesso in povertà assoluta. Oggi, invece, è il contrario. Al diminuire dell’età, aumenta l’incidenza della povertà assoluta. Tra i minorenni è al 12,1% (dato 2017), tra 18 e 35 anni è 10,4%, mentre sopra i 65 scende al 4,6% (valore in linea con quello del 2005). Anche molte famiglie con figli si trovano in difficoltà economica. Con uno o due figli la quota di quelle in povertà assoluta è quasi al 10%; con 3 figli supera il 20%.
Bisognerà attendere il 9 giugno 2021 per i dati definitivi, ma il quadro che ne emerge è sufficientemente chiaro per conoscere le conseguenze che la grave crisi economica prodotta dalla pandemia e dall’emergenza sanitaria ha determinato sulle condizioni di vita delle famiglie nell’anno appena passato.
Ne parliamo insieme a monsignore Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Roma e cappellano della Camera dei Deputati.
Monsignore, grazie infinite per la disponibilità. Lei che ha il polso diretto delle realtà sociali nelle parrocchie che ne pensa delle stime dell’Istat, le sembrano realistiche?
Un milione in più di poveri è un numero spaventoso, ma ho l’impressione che dalla stima rimangano fuori una serie di realtà non censite come gli homeless o gli immigrati irregolari e che, quindi, il numero reale sia ben più grande. Quando ragiono sull’attuale situazione, penso subito alle tante responsabilità che ognuno di noi ha, a cominciare dagli stili di vita sbagliati ed esagerati.
Allude per esempio agli sprechi alimentari?
Si, senza dubbio, il cibo c’è, è solo distribuito male. Bisognerebbe ripartire dalla base, dal passo del più debole. Penso, però, anche agli abusi ambientali, anche loro hanno concorso alla pandemia. Non si può più pensare a uno sviluppo che non sia sostenibile.
Qual è il primo pensiero che le viene in mente, considerato che le cifre potrebbero aumentare a giugno?
Bisogna ripartire dal lavoro, senza di esso non si può costruire niente. Papa Francesco ricorda spesso che “il lavoro ci unge di dignità” e nella Bibbia se ne parla ancor prima del peccato originale, ammantandolo di una qualche natura divina. E’ una grande responsabilità politica, ma anche di tutte le agenzie culturali che dovrebbero iniziare a collaborare.
Parla della scuola, della famiglia, delle parrocchie?
Si. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che in questo momento tutte le “istituzioni” sono un po’ in crisi. Solo recuperando il senso di solidarietà si può ripartire. Le faccio solo un esempio: alcune parrocchie hanno messo a disposizione delle scuole i propri spazi per garantire la formazione in presenza dovendo rispettare le distanze. Ecco, questo è un buon esempio di sinergia costruttiva.
Qualche ricetta per ripartire?
Confidiamo tutti nelle risorse che deriveranno dal Recovery Fund e non ho dubbi sul fatto che al tavolo del Recovery Plan debbano sedersi tutti, ma proprio tutti, senza alcuna esclusione.
Parla di tutte le forze politiche?
Si, ma anche di tutti gli altri attori sociali, a cominciare dalle associazioni di categoria e del volontariato. Da troppo tempo la politica sembra distante dalla vita reale e dalle esigenze concrete.
Sta dicendo che l’ospite d’onore dovrebbe essere il terzo settore?
Esattamente perché chi vi opera è in grado di ricordare che dietro quelle stime ci sono persone, famiglie, e conosce esattamente quali difficoltà stanno affrontando e di cosa avrebbero bisogno.
Quali sono le maggiori disfunzioni che rimprovera al mercato del lavoro?
La mancanza della valorizzazione delle competenze e l’eccesso di precariato. Bisogna superare la logica delle raccomandazioni, del lavoro in nero, dello sfruttamento nascosto dietro ai contratti da praticante e di stage che durano una vita. Il precariato umilia e la normativa vigente non basta.
Come vivono tutto questo i giovani?
Il numero dei neet, i ragazzi che non studiano e non cercano lavoro, è in aumento e se ne parla troppo poco. Spesso è legato ad ambienti nel degrado su cui la società dovrebbe intervenire. La fortuna dei giovani è che hanno una visione europeista e internazionale, che li spinge a guardare anche all’estero con fiducia, anche se questo significa lasciare affetti e il proprio Paese verso il quale non nutrono più grandi aspettative.
Per quanto riguarda il ruolo delle donne?
Bisogna lavorare ancora molto per dar loro giusti riconoscimenti nell’ambito delle competenze e della retribuzione. Per far questo occorre incidere significativamente sull’istituto della conciliazione, tra lavoro e famiglia. Senza questo sostegno rimarranno sempre un passo indietro.
E che ne pensa dei meno giovani, degli over 50 prematuramente usciti dal mercato del lavoro?
Questa è una piaga di cui non si parla affatto, pur costituendo la parte più cospicua, numericamente parlando, della popolazione italiana. Sono considerati obsoleti, in realtà è una perdita di competenze irrinunciabili per la formazione dei giovani stessi che mancano di modelli. Per il nostro Paese significa rinunciare alle proprie radici, quasi tutta la nostra economia si basa sulla nostra storia. Oggi, poi, assistiamo a un fenomeno ancor più grave, di cui non leggo da nessuna parte. I meno giovani sono considerati più a rischio covid e alcune aziende stanno stilando delle vere e proprie liste di proscrizione nei loro confronti, ricorrendo a ogni strumento utile per il loro allontanamento. Hanno paura delle cause per risarcimento danni che la normativa prevede. Sono i moderni lebbrosi citati nel Vangelo.
Metodi di rilevazione della povertà assoluta (fonte Istat)
Le basi del concetto di povertà assoluta
Il concetto di povertà assoluta non si basa sul concetto di sopravvivenza, ma sul concetto di minimo accettabile nel contesto di riferimento (la realtà italiana) per evitare grave forme di esclusione sociale. È, quindi, basato sulla definizione di un paniere minimo di beni e servizi atti a soddisfare un insieme di bisogni considerati essenziali. La soglia di povertà assoluta corrisponde al valore monetario del paniere complessivo di ogni famiglia e varia a seconda della dimensione ed età dei componenti della famiglia, della ripartizione geografica e della dimensione del comune di residenza. Cioè, tiene conto del costo della vita differenziato sul territorio, oltre che della composizione familiare. I bisogni, invece, sono considerati omogenei sul territorio.
I beni e i servizi che costituiscono il panel
Le aree di fabbisogno considerate essenziali sono: alimentari, abitazione e residuale. Alimentari: la valorizzazione monetaria dei fabbisogni nutrizionali degli individui così come determinati dai livelli di assunzione raccomandata di nutrienti per gli Italiani. Abitazione: la valorizzazione monetaria della disponibilità di un’abitazione, di ampiezza consona alla dimensione familiare, riscaldata e dotata dei principali servizi, beni durevoli e accessori. Componente residuale: definita come minimo necessario per arredare e manutenere l’abitazione, vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.
Strumenti di rivelazione
I consumi vengono rilevati attraverso due interviste alle famiglie faccia a faccia e tramite un diario da autocompilare da parte delle famiglie per due settimane.
Ampiezza del panel
Il campione, come tutti i campioni dell’Istat sulle famiglie, è un campione probabilistico rappresentativo della popolazione residente in Italia. Il campione teorico e di circa 32mila famiglie all’anno, spalmate lungo tutto l’anno per tenere conto della stagionalità delle spese.
Gli homeless rientrano nella rivelazione?
No. Le famiglie da intervistare sono estratte dalle liste anagrafiche comunali, e, quindi, contattate presso il proprio domicilio. L’Istat esegue anche un’indagine apposita sugli homeless (Indagine sulla povertà estrema), ma non è parte dell’indagine sulle spese per Consumi.
Previsioni discostamento dati nel rapporto definitivo di giugno
Allo stato non è possibile prevedere se e di quanto ci sarà uno scostamento, ma sarà molto probabilmente di dimensioni assai limitate.