venerdì, 15 Novembre, 2024
Cultura

IL NOTAIO DEL CRIMINE: Intervista al Presidente Michele Leoni dell’Avv. Giuseppe Cherubino

Il primo romanzo della Collana IusArteLibri, curata dall’avv. Antonella Sotira, “Giudice per nessuno” ( L’Erudita editore) del Presidente del Tribunale di Ravenna, Michele Leoni,  segna l’inizio dell’attesa edizione 2021 del Premio del Premio Letterario Giuridico IusArteLibri: Il Ponte della Legalità.
Tra i Grandi E-lettori del concorso, l’avv. Giuseppe Cherubino, del Foro di Bologna, che ha intervistato l’autore Michele Leoni.

Presidente, il messaggio socio-giuridico del romanzo si innesta nel file rouge del tema scelto per l’edizione 2021del premio ES- Patriati: diritti senza confine”.
Quello che mi ha colpito, lo dico da “indigeno” dei luoghi in cui Lei ha esercitato il Suo primo magistero è quel Suo “immodificabile” rifiuto a compenetrarsi nel luogo:

Perchè afferma,” preferisco averlo alle spalle”?
In Calabria ci sono tornato nel 2019 a ritirare il Premio Vis Iuridica, ho riscontrato non solo che i collegamenti sono migliorati ma che tutta la zona si è trasformata e mi sono molto emozionato a rientrare nel mio primo Tribunale. Quando, esattamente 32 anni fa,  andai a Locri,  ero giovane, avevo grossi problemi di salute e avevo perso i genitori: sono figlio unico. Ero quindi in una mia condizione di disadattamento esistenziale.. Affrontare questa esperienza, faticosa e  piena di interrogativi per il mio futuro era pesante; ma lo sarebbe stato anche se fossi andato a 1000 km a nord anziché a sud. Un giorno di cuccetta era massacrante. Spesso i treni si fermavano e si restava impelagati in attese alla Deserto dei Tartari.

Gli ultimi sei mesi non sono più tornato a casa, neanche per le ferie.

Ho rivisto uno dei miei colleghi di allora, il dott. Malgeri, ho cercato di incontrare il dott. Gratteri, con cui anche all’epoca avevo lavorato e che ringrazio nel mio libro, insieme all’avv. Sotira.  Sollecitato a ripubblicare il romanzo per IusArteLibri, salvo un po’ di editing stilistico, non ho voluto modificare i contenuti. Doveva rimanere un’istantanea della mia vita di allora. Scrivere significa prima di tutto testimoniare, e una testimonianza è più genuina se la si rende nello stato d’animo in cui essa è maturata. Il lungomare di Siderno e la Rocca di Gerace con la sua terrazza, sono ricordi incancellabili. Mi hanno dato molto. Come il silenzio, la risacca, le conchiglie, i fondali, l’asprezza della montagna e il suo aspetto remoto. La copertina del libro del paesaggista Raffaele Frangipane è un omaggio alla Calabria.

Presidente Leoni , “Giudice per nessuno”, offre l’occasione per una riflessione sul  concetto di giurisdizione. Nella Postfazione Lei scrive “Sono stato un notaio del crimine libero, un compilatore di necrologi, il rappresentante di un sistema dove troppo spesso prevale l’impunità” L’affermazione rimanda ad un tema di estrema attualità, ovvero quale sia, effettivamente, la funzione del giudice in un’epoca in cui l’esasperato “giustizialismo” sembra pretendere che il Giudice condanni.  Ma non ritiene giusto che il  Giudice debba accettare che il processo possa terminare anche senza l’individuazione del colpevole?
Quando ho scritto “notaio del crimine libero” non alludevo assolutamente alla vulgata di un giudice il cui ruolo è condannare, perché solo condannando (e quindi retribuendo) si può avere giustizia, nel senso di “fare pulizia”). 

Alludevo invece alla tematica dell’omertà, che, per quanto riguarda la mia esperienza, post Locri, ho riscontrato in contesti anche diversi dalle consorterie mafiose. Terrorismo e criminalità dei colletti bianchi, ad esempio, non sono certo estranei all’omertà. Ovunque vi sono affari e antefatti dove molte persone sono implicate e compromesse, vi è omertà.

Il fine del processo è la verità, e se non la si raggiunge, quanto meno nei termini del convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio, è scontato che si debba assolvere. Questo è chiaro. Più volte mi sono trovato in convegni a colloquiare con giovani PM di prima nomina, e ho sempre detto loro: “Il risultato è trovare il colpevole, non un colpevole”. Certo, astrattamente la morale vorrebbe che ogni delitto avesse ben individuato il suo responsabile. Ma la nostra è la giustizia degli uomini, e non di Dio, e nessuno può ergersi a divinità.

Concludo, Presidente con un tema a me particolarmente caro ma che,  so essere, altrettanto importante per la Sua vita di Magistrato e di uomo impegnato nel sociale, il Carcere. Ho letto quel suo bellissimo dialogo sul carcere “Vite sbarrate”. Sostiene  Marco Malvaldi  che “per essere autenticamente liberi occorre conoscere il carcere”. È ancora attuale, al di fuori di una logica retributiva,  l’idea del carcere come deterrente al fenomeno criminale?
A dare risposte questa domanda dovrebbe essere la politica. Il libro “Vite sbarrate” per me è stata una straordinaria occasione di crescita, in quanto ho potuto mettere  fuoco le realtà più dure e ignorate del carcere attraverso l’esperienza illuminante di don Dario Ciani (purtroppo deceduto qualche anno fa), un vero e proprio “prete di strada” che ha dedicato la sua vita agli ultimi.

È stata un’esperienza anche bruciante, perché mi ha messo a confronto con la realtà umana (e disumana) in cui io, come GIP, mandavo la gente in carcere. Inutile dire che a volte mi sono sentito carnefice. Credo che la consapevolezza debba fare parte del bagaglio culturale di un giudice, affinché non corra il rischio di essere prigioniero del suo ruolo, ma lo relativizzi.

Per quanto riguarda la conoscenza personale del carcere, credo che un giudice debba farsi internare come detenuto. È una provocazione? Forse ma anche questa sarebbe “formazione”. 

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