Sembrano ormai chiari i punti fondamentali del programma che Draghi intende porre come essenziali per il suo governo e sono le riforme del fisco, della giustizia civile e della pubblica amministrazione, sommate ad iniziative forti per sanità, ambiente, scuola e lavoro.
Il tutto nel quadro di una rinnovata scelta per l’Europa e della riaffermazione della solidarietà nella alleanza atlantica.
Lo si evince da quello che emerge dai suoi colloqui, che sono terminati ieri, con le forze politiche e in vista dell’incontro con le parti sociali convocate per oggi.
Non si vedono ostacoli al cammino del Presidente incaricato, forte di un mandato ampio, quello conferitogli dal Capo dello Stato, che gli consente di sottrarsi ad ogni condizionamento che rischi di ripristinare quel faticoso e sfibrante contrattualismo che, fino al recente passato, ha condizionato e spesso impedito l’adozione di scelte incisive, innovatrici e forse anche dolorose, quali quelle poste imperativamente dalla pandemia e dai rischi per l’economia.
D’altro canto se la scelta di Draghi ha un senso compiuto, lo ha anche nel segno di una forte sollecitazione ai partiti a ripensare se stessi, la labilità dei loro orizzonti, il legame sempre più sfilacciato con società e territorio e di un monito anche alle forze sociali, perché si muovano con più acuta sensibilità e responsabilità rispetto ai gravi problemi di giustizia sociale e di equità che stanno piegando importanti forze sociali, a cominciare dai giovani.
È auspicabile che l’iniziativa di Draghi riesca a scuotere il torpore e l’egoismo di gruppi dirigenti che si muovono come ciechi, senza altro orizzonte che quello immediato, con assoluta smemoratezza delle migliori tradizioni della nostra democrazia.