C’è un primato negativo di quelli passati in sordina, di cui poco in queste ore si è parlato. Eppure si tratta di una notizia che nelle ultime settimane ha influito sui bilanci delle famiglie e sui costi giornalieri dei cibi.
A gennaio 2021 i prezzi dei prodotti alimentari hanno raggiunto, a livello mondiale, il massimo da quasi sette anni. Una spirale dove agli effetti del Covid si uniscono le speculazioni internazionali, le variazioni climatiche, gli accaparramenti e le tante distorsioni di un mercato globale che segue le quotazioni dell’agroalimentare.
I prezzi segnano rialzi consistenti per cereali, oli vegetali e zucchero con la pandemia da Covid che spinge corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazione in uno scenario di riduzione degli scambi commerciali. L’indice Fao segna il rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari, una crescita che ha raggiunto in gennaio un valore medio di 113,3 punti, che rappresenta un incremento del 4,3 percento dal dicembre 2020 e un primato rispetto ai valori registrati dal luglio 2014.
A tirare la volata sono i prezzi internazionali del mais, con un balzo in avanti dell’11,2% mentre i prezzi dell’orzo sono aumentati del 6,9% e quelli frumento del 6,8% ma una tendenza al rialzo si registra anche per i prezzi dello zucchero, che ha segnato una crescita dell’8,1% e per quello degli oli vegetali che è salito del 5,8% nell’arco del mese, raggiungendo il valore più alto dal maggio 2012. L’Indice dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari si è attestato a +1,6% sorretto dalla campagna di ingenti acquisti della Cina mentre un incremento più modesto del +1 % rispetto a dicembre si è verificato per i prezzi della carne.
Covid e speculazioni stanno innescando, secondo gli analisti della Coldiretti, un nuovo cortocircuito sul fronte delle materie prime nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri. E sono ancora i ritardi infrastrutturali a penalizzare le imprese italiane.
“L’aumento delle quotazioni”, calcola la Coldiretti, “conferma che l’allarme globale provocato dal Coronavirus ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo”. Non solo c’è una impellente necessità di avere tutte le garanzie di qualità e sicurezza ma bisogna porre fine alle fragilità del sistema produttivo nazionale per difendere, stando alle Associazioni di categoria, la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali e creare nuovi posti di lavoro. L’obiettivo insiste la Coldiretti è mettere in atto la svolta verso una agricoltura verde la transizione ecologica e il digitale in grado, secondo i calcoli, di offrire un milione di posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni. Per la Coldiretti non c’è altra via se si vuole mantenere qualità, competitività e sviluppo ripartire dai punti di forza e l’Italia, “che”, segnala la Confederazione “è prima in Europa per qualità e sicurezza dell’alimentazione”. Ma riuscirà il Paese a investire per dimezzare la dipendenza alimentare dall’estero? Questo il punto cruciale sul quale per ora a parte i progetti da attuare non ci sono risposte.