Tra gli stereotipi classici del popolo italiano, è noto, c’è quello del latin lover. Amanti appassionati, romantici quel poco che basta nell’arte del conquistare. Nell’era della democrazia partecipativa, la sfera virtuale ha eliminato lo storico corteggiamento, azzerando lo spettacolo espressivo emulato dai pavoni per giungere famelicamente alla soddisfazione del proprio piacere, rimanendo comodamente seduti sulla propria poltrona.
Un’immagine che, probabilmente, l’ircocervo governativo ha cercato di mutuare per proporre soluzioni all’infinita crisi che attanaglia da un decennio i cittadini e, ahimè, il Paese.
Siamo diventati conquistatori dell’irreale, del piacere senza sapore, dove palpiamo un arido mouse illudendoci di essere cloni di Rodolfo Valentino o Raoul Bova. Una visione di triste solitudine e di sdoganamento dalla realtà probabilmente frutto anche della scarsità di risposte governative ai problemi dell’Italia.
Gli italiani sono senza lavoro, i giovani ansimano alla ricerca di una occupazione, gli anziani non vedono un futuro roseo nel loro naturale percorso del destino umano. Ma all’urlo dei cittadini che riecheggia frenetico nella sale ospedaliere, prive di un consistente personale medico e sanitario adeguato, e nei centri di istruzione, dimenticati nella esilarante carenza culturale oggettivamente dimostrata da molti influenti nostri delegati nelle sale del potere, l’ircocervo ha trovato una risposta nella ragnatela degli emendamenti legati al decreto crescita.
Contributi comunali concessi per favorire l’ampliamento o la riapertura di negozi chiusi da almeno sei mesi nei centri fino a 20mila abitanti. Una misura che, alla pari dei negozi al dettaglio, agevolerà anche coloro che vendono articoli per adulti. 28 milioni fino al 2022 e 20 milioni dal 2023. In totale 48 milioni di euro per soddisfare le fantasie erotiche degli italiani.
Il grande Woody Allen, nella sua proverbiale capacità aforistica, una volta recitò: «La differenza fra il sesso e la morte è che la morte la puoi fare da solo senza che nessuno rida di te».