In questi ultimi giorni il tema del Recovery Fund, o meglio e più correttamente del “Recovery and Resilience Facility”, ovvero il Piano nazionale di Resilienza e Ripresa, per la gestione degli oltre 220 miliardi che l’Europa ha decretato di destinare al nostro Paese, tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti (360), per promuovere la ripresa del post-CoVid. Un’occasione imperdibile anche se non sarà facile, né automatica, l’erogazione e l’impiego dei soldi. Tutto si giocherà sul filo dell’aderenza dei progetti, delle tempistiche e, soprattutto, della governance del piano alle stringenti direttive imposte da Bruxelles. Infatti, la prima considerazione da fare è che lo strumento si chiama “Recovery and Resilience Facility” e non Fund e non si tratta di un gioco di parole, ma di una differenza sostanziale, perché la Commissione Europea parla di risorse destinate a finanziare progetti concreti, che saranno poi monitorati passo dopo passo, e che devono avere obiettivi ben precisi e risultati prevedibili e misurabili. I piani degli altri Paesi prevedono infatti già percorsi dettagliati di sviluppo e soprattutto iniziative già concordate in termini di execution. In Italia invece, tutto questo ancora non è avvenuto. Per ora il nostro Governo, in ottemperanza delle richieste di Bruxelles, ha messo nero su bianco i settori dove si vorrebbe intervenire, che sono riconversione green dell’economia e dei modelli produttivi (68,9 miliardi) e di digitalizzazione (46,18 miliardi). Potrebbe essere un vero toccasana per un Paese, come l’Italia, che soprattutto nel secondo caso paga ritardi che stiamo verificando tutti noi proprio in questi mesi. Un esame importante, anche e soprattutto sul versante della programmazione e dell’execution. Alla ripresa infatti dovranno dare un contributo anche le nostre aziende che dovranno collaborare con la PA nella gestione delle risorse. Da Bruxelles i moniti sono ripetuti e mirati a far comprendere, senza ambiguità o fraintendimenti, che i progetti e le riforme da finanziare devono essere credibili e rispondere a requisiti precisi, e il calendario deve essere realistico perché, come ha ribadito il commissario per gli Affari Economici Paolo Gentiloni, se non si rispetta la tabella di marcia i fondi non affluiranno. Dobbiamo pensare ad un’azione corale, che vedrà inevitabilmente lo Stato interagire con le categorie industriali a cui spetterà, di contro, sensibilizzare le imprese affinché si remi tutti dalla stessa parte. Sarà cruciale adeguare i piani di sviluppo delle nostre aziende. Nessun appesantimento degli organici, ma parlerei di efficientamento finalizzato ad operare secondo delle linee guida precise: rivedere i piani industriali e di ammodernamento delle strutture e dei macchinari assecondando principi di sostenibilità economica ed ambientale, stabilire programmi di riconversione digitale ad ampio raggio, procedere al taglio di consumi e sprechi, calendarizzare programmi di formazione o riqualificazione del personale. Anche lato PA, sarà necessario ripensare, forse in questo caso più consistentemente, le operatività nella gestione di questi fondi, con nuovi modelli operativi, se necessario. Un orizzonte complesso ma direi imprescindibile, che potrebbe necessitare il supporto, anche temporaneo nelle principali funzionalità aziendali di figure di alta specializzazione, con esperienze internazionali e di execution.