Martedì scorso 15 dicembre, in diretta sui canali social di Merita, (Meridione-Italia), si è svolto l’incontro “Next Generation Italia – Un nuovo Sud a 70 anni dalla Cassa per il Mezzogiorno”. Tra gli intervenuti, oltre al Presidente del Consiglio Conte, il Commissario europeo all’Economia Gentiloni, la Commissaria per la Coesione e le Riforme, Elisa Ferreira e il Professor Claudio De Vincenti già Ministro per il Sud. Il filo conduttore dell’incontro potrebbe essere così riassunto. A settant’anni dalla nascita della Cassa del Mezzogiorno, purtroppo, la Questione Meridionale è più viva che mai e si ripropone, in questi tempi difficili, con criticità e problematiche diverse dal passato.
Gli spunti offerti dal documento introduttivo e ancor più le riflessioni emerse dagli interventi dei relatori, invitano a riscoprire quella visione che, negli anni cinquanta, diede vita alla Cassa del Mezzogiorno. La prima vera Task Force italiana, cui fu affidato il compito di promuovere l’industrializzazione e la modernizzazione delle regioni del Sud. Nei suoi primi venti anni fu uno strumento di grande importanza per il decollo produttivo del Mezzogiorno. Infatti, per raggiungere questo obiettivo, la Cassa fu concepita come una tecnostruttura pubblica dotata di una speciale autonomia giuridica e di grandi competenze e professionalità. Fu proprio grazie a lei che, nel ventennio 1950/1970, il Mezzogiorno contribuì al miracolo economico italiano. Molto opportunamente, nel documento preparatorio del convegno, è stato fatto notare che Pasquale Saraceno, uno dei più grandi economisti del Novecento, si opponeva fermamente alla tesi secondo cui al Sud le industrie erano soltanto delle “Cattedrali nel deserto”. La considerava un falso storico oltre che una grande menzogna politica.
La realtà di allora, invece, ci racconta un’altra storia. Alcune regioni del Sud, penso in particolare alla Basilicata, conobbero, grazie alla Cassa, un periodo di grandi trasformazioni economiche, sociali e civili. In Valbasento, quando ancora erano in vita la Pozzi Ginori e l’Anic, tra operai, tecnici e maestranze, negli stabilimenti e nell’indotto, furono occupati quasi settemila lavoratori. Altro che deserto. E proprio in quelli gli anni si avviò la modernizzazione del Mezzogiorno. Furono costruite le grandi infrastrutture civili, le strade, i porti, le ferrovie, e poi gli asili, le scuole e le università. Negli anni cinquanta, in gran parte delle aree interne del Mezzogiorno, in quelle che Manlio Rossi Doria definì l’osso del Meridione, l’analfabetismo raggiungeva addirittura l’80% per cento della popolazione. Gaetano Salvemini, il grande storico e meridionalista che conosceva molto bene quei territori, in uno dei suoi frequenti viaggi nei comuni pugliesi e lucani, scoprì con sua grande meraviglia, che addirittura un sindaco era analfabeta e che firmava con una croce tutti gli atti amministrativi del comune.
Ci furono anche tanti limiti e incongruenze durante gli anni in cui si dispiegò l’intervento straordinario. Il più evidente fu quello della mancata nascita di una classe dirigente di tecnici e imprenditori. Fu questa una grave lacuna che avrebbe poi condizionato il contesto economico e sociale di tutto il Mezzogiorno. Dagli anni ottanta in poi, l’intervento straordinario incominciò a snaturarsi. Vennero meno le strategie meridionaliste. Si scoprirono ingenti sprechi di risorse finanziarie e umane, provocati da una classe dirigente locale sempre più incline al piccolo cabotaggio e all’assistenzialismo.
La pandemia, purtroppo, ha sconvolto anche il piano per il Sud, quello predisposto dal Ministro del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano. Questa gravissima emergenza sanitaria e la crisi economica che inevitabilmente seguirà, richiedono, come ha opportunamente fatto notare il Commissario europeo Paolo Gentiloni – una Governance del piano di ricostruzione, snella ed efficiente, all’altezza delle sfide che ci attendono. Per il Mezzogiorno sono previsti progetti molto impegnativi: in primis quelli che impattano sulla coesione sociale e territoriale e poi la rivoluzione verde e la transizione ecologica, le infrastrutture per una mobilità sostenibile, gli investimenti mirati nell’istruzione e nella ricerca, la l’agenda digitale e il sostegno alla cultura.
In questo percorso di rinascita – lo ha ribadito più volte nel suo intervento il Presidente Conte – nessuno dovrà essere escluso. Né il Parlamento, né tantomeno il mondo del lavoro e quello dell’impresa. Unanime anche la consapevolezza che al Mezzogiorno non bastano solo le risorse. Per ripartire ha bisogno soprattutto di progetti validi, di professionalità e competenze ben sperimentate sul campo. E su quest’aspetto hanno concordato un po’ tutti, dal Professor De Vincenti, al Commissario Arcuri, dai Commissari europei Gentiloni e Ferreira al Presidente Gorno Tempini. La conclusione che si può trarre da questo convegno è una sola. Non potrà mai nascere una nuova stagione meridionalista se non si recupera quello spirito repubblicano e quella visione coraggiosa che determinarono, soprattutto nei suoi primi vent’anni, il successo della Cassa del Mezzogiorno. Una prospettiva di civiltà e di progresso che cambiò la storia del Sud e che lo rese, dopo secoli di abbandono, il vero protagonista della sua rinascita.