In un clima teso e confuso, ma gli aggettivi non vanno mai presi troppo sul serio, il Parlamento sta per andare in ferie senza che nel frattempo siano andate in porto alcune delle riforme ideate e capeggiate dai penta stellati e dai loro soci di governo.
Sulla giustizia, la Lega, ha liquidato come acqua fresca la riforma presentata da Bonafede; sulla TAV il M5S si appresta ad una battaglia di facciata al Senato, dove già sulla carta esiste un’area di forte contrapposizione a cominciare dalla Lega, ostile ad ogni blocco dell’opera; per la riforma fiscale neanche a parlarne, visto il dissidio profondo sul tema fra i due partners di governo; si discute solo accademicamente sul cosiddetto salario minimo garantito e, nonostante i toni bellicosi dei Presidenti leghisti delle regioni del nord, si allontana nel tempo l’istituzione di regioni con poteri ed autonomie differenziate rispetto alle altre.
In effetti, su questo specifico tema, occorre molta prudenza ed un minimo di memoria storica. In Italia le regioni a statuto speciale nascono nel dopoguerra come diretta conseguenza dei problemi e delle tensioni, aperti dalla sconfitta militare; in Sicilia come risposta ad un movimento separatista collegato ad ambienti mafiosi e a gruppi di pressioni nord americani; nel Trentino Alto Adige per neutralizzare l’accordo con l’Austria e il revanscismo tirolese; in Val d’Aosta per corrispondere ai desideri della popolazione francofona; in Sardegna come corollario di una storica aspirazione all’autonomia.
Dagli anni dell’immediato dopoguerra fino al 1970 la questione delle autonomie regionali fu accantonata e
non ritenuta prioritaria; tornò a riproporsi con il primo centro sinistra, moderata nella sua attuazione dalla permanenza di organi di controllo di diretta emanazione dello Stato. Un equilibrio, questo, che salta con la riforma del 1999, che elimina il sistema dei controlli ed aliena una serie infinita di competenze che vengono attribuite alle regioni o esercitate in condomino con lo Stato centrale, causa, questa, di un infinito contenzioso.
Quel che più conta è però il sostanziale fallimento delle esperienza regionalista, tanto da fare rimpiange a
molti le efficienze e la tradizione amministrativa delle province, ridotte alle ombre di se stesse dalla sciagurata riforma di Renzi.