Quasi tutta l’Italia si sta tingendo di rosso in relazione alla virulenza del Covid, ma la politica prosegue nei suoi riti misterici e lo fa soprattutto per opera di coloro che avevano fatto della lotta a questi riti, lo scopo della loro stessa esistenza.
È, questo il caso del Movimento 5 stelle che, non pago delle recenti catastrofi elettorali che hanno testimoniato la frana di simpatie e di consensi rispetto al clamoroso successo nelle lezioni politiche, ha celebrato, ovviamente sul web, un’assemblea definita pomposamente “Stati generali”.
Questa celebrazione che, per i richiami storici, evocava le pagine esaltanti della rivoluzione francese, che però conclusa nel segno di una tregua confusa e precaria fra l’area governista, che mira alla trasformazione del Movimento in un partito tradizionale alla ricerca di alleanze, a cominciare da quella con il Pd nelle prossime elezioni locali che interesseranno grandi città come Roma e Napoli e l’area dei tradizionalisti, i puri e duri del Movimento che fanno riferimento a Di Battista.
Questi ultimi contestano fieramente la tesi dei c.d. moderati e pongono, come condizione indispensabile dell’unità interna, l’accoglimento del documento conclusivo che ancora deve essere varato, di sei condizioni fra le quali l’intoccabilità del tetto di due mandati per gli eletti e l’istituzione di un giurì d’onore che avrebbe il compito di valutare tutte le nomine pubbliche, comprese quelle proposte o accettate dal Movimento.
In conclusione Stati Generali mignon, senza conclusioni vere e senza conta dei voti e con un rischio concreto, quello di una scissione che si riverserebbe sulla stessa tenuta del Governo.
Per ora, l’unica conseguenza è un nuovo dispetto a Zingaretti e al Pd: un NO a tutto tondo alla possibilità di realizzare forme di collaborazione e di incontro definite con le opposizioni per affrontare insieme la sfida della pandemia e i rischi di un tracollo della coesione sociale.