sabato, 16 Novembre, 2024
Politica

Il partito 5 stelle: ritorno al futuro

È una buona notizia che il Movimento 5 Stelle, undici anni dopo la sua fondazione, si stia trasformando in un partito. Chi vive questo passaggio come una caduta dal paradiso terrestre dell’antipolitica all’inferno della realtà dimostra di essere ancorato ad una visione infantile e primordiale della politica.

La trasformazione in partito non è una degenerazione né un impoverimento ma segna una maturazione verso una consapevolezza maggiore della complessità non solo dei problemi ma della stessa partecipazione democratica.

Una formazione politica, dopo aver attraversato la fase del movimento segnata da entusiasmo, creatività e anche da una buona dose di vaghezza, è obbligata a trasformarsi in una qualche forma organizzata e strutturata se non vuole, prima o poi, dissolversi. Il passaggio da movimento a istituzione partitica è un segnale di crescita che assicura una maggiore stabilità e obbliga i predicatori di ieri a diventare attori consapevoli e responsabili di oggi.

È vero che diventare partito comporta il rischio di imprigionarsi in rituali, procedure, difetti e anche degenerazioni che hanno contribuito all’esaurimento e alla scomparsa dei partiti tradizionali.

Ma proprio qui sta la sfida che i 5 Stelle devono lanciare verso se stessi: riuscire ad essere un partito nuovo che non imita i difetti degli altri ma cerca una propria formula organizzativa e partecipativa.

Il passaggio non è indolore e comporta anche l’abbandono di “comfort zone” in cui i movimenti amano crogiolarsi: l’elaborazione delle idee lasciata allo spontaneismo, il rifiuto di scendere nei dettagli dei problemi, la ricerca di soluzioni ad effetto con scarsa aderenza alla realtà, la ripetizione quasi ossessiva di slogan preconfezionati, il richiamo ridondante a valori come se fossero litanie da ripetere in maniera meccanica, l’autogratificazione di sentirsi superiori agli altri per definizione, il rifiuto di mettere le mani nella carne viva dei problemi per non essere costretti a compromessi tra predicazione e concretezza.

Per questo il travaglio che i 5 Stelle stanno attraversando non va né sottovalutato né, tanto meno, deriso, ma va osservato con attenzione e, per quanto possibile, incoraggiato. Durante la loro fase di movimento i 5 Stelle hanno alimentato anche zone d’ombra che la trasformazione in partito obbligherà a rendere più trasparenti: i rapporti contorti con la piattaforma Rousseau, la subordinazione dell’azione e organizzazione ad una società privata, una forma di leaderismo che di democratico ha avuto ben poco, una selezione improvvisata e in gran parte inefficiente della classe dirigente politica e governativa.

Di Maio e i suoi possono e devono fare un passo avanti senza rinunciare a quanto di positivo il Movimento aveva saputo esprimere, ma ammettendo gli errori commessi ed evitando di ripeterli. Il partito 5 Stelle potrà essere “nuovo” nello scenario politico italiano e dovrà dimostrare che la necessaria organizzazione della politica non comporta alcuno svilimento della carica ideale. 

Un primo segnale di innovazione il partito dei 5 Stelle potrebbe darlo subito: farsi promotore in Parlamento di una legge che attui l’art.49 della Costituzione, trasformando i partiti in associazioni con personalità giuridica, registrate e sottoposte alle norme del codice civile che regolano questo tipo di associazioni. Non può esistere una democrazia dei partiti senza regole chiare e vincolanti. È proprio da questa assenza di regole che nasce la partitocrazia, la tentazione di formare partiti personali e l’asservimento del ruolo costituzionale dei partiti ad interessi esterni ad essi.

I 5 Stelle non sono un partito antisistema da quando conquistando la maggioranza relativa si sono assunti responsabilità di governo. Ora devono dimostrare di stare nel sistema migliorandolo, senza quella protervia massimalistica che spesso fa ampie concessioni all’opportunismo. Stiano con i piedi per terra e contribuiscano a riqualificare la vita politica dando un buon esempio di come si può essere partito senza diventare gruppo di potere fine a se stesso.

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