venerdì, 15 Novembre, 2024
Attualità

La blasfemia, anche nella satira, non è pensiero ma offesa 

Esiste un diritto alla blasfemia? La satira può spingersi fino ad offendere i sentimenti religiosi? Il problema è tragicamente tornato di attualità dopo il brutale assassinio, da parte di un terrorista ceceno islamista, di Samuel Paty, il docente di Parigi sgozzato per aver mostrato ai suoi studenti le vignette contro Maometto del giornale satirico Charlie Hebdo.

Il tema è doppiamente delicato. Due sono i valori in campo: la libertà di espressione, il rispetto per l’altrui fede religiosa.

Ci si chiede: se i due valori vanno in conflitto, quale deve prevalere?

Posta così, la domanda è fuorviante. Infatti, nella vita collettiva, non può esistere alcun valore assoluto, cioè sciolto da qualsiasi vincolo, se si eccettua quello della vita della persona.

Libertà e democrazia, ad esempio, sono valori fondamentali della civiltà occidentale in cui ci riconosciamo. Ma anch’essi devono comunque rispondere a delle regole perché altrimenti genererebbero caos e conflitti. Il buon senso comune dice che la mia libertà finisce quando limita la libertà di un altro. È intuitivo. Se ognuno pretendesse, in nome della propria libertà, di fare quello che gli pare ci sarebbe anarchia e tutti saremmo meno liberi.

Ma torniamo al punto. Esiste il diritto di professare una fede religiosa, sancito dall’art. 19 della nostra Costituzione, dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. E ovviamente esiste la libertà di espressione (art. 21 della Costituzione) che copre anche il diritto di usare lo strumento della satira.

La piena attuazione dell’art. 19 comporta il rispetto della sensibilità delle persone che credono in questa o quella religione: per fortuna non esiste più nella nostra normativa il riferimento alla religione di stato. Criticare anche aspramente i contenuti di una religione è legittimo, varcare la soglia per sconfinare nel dileggio e del disprezzo è un atto contrario al rispetto delle persone che credono in quella religione. In pratica, l’offesa al sentimento religioso non ha niente a che vedere con la libera espressione di un pensiero. “La protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà di religione.” Questo scrive la Corte Costituzionale (sentenza n. 329 /1997).

Non può, quindi, esistere un diritto alla bestemmia, intesa come offesa violenta e/o volgare anche se solo verbale o scritta al sentimento religioso altrui. La bestemmia nel nostro ordinamento rimane un illecito punito, non più in sede penale dal 1999, con sanzione amministrativa da 51 a 309 euro ma solo se ha per oggetto la divinità. In base a questa norma le offese contro Maometto sarebbero legittime, visto che si tratta di un Profeta e non di una divinità come Allah. La formulazione è molto discutibile: ogni religione ha i suoi riferimenti sacri e tutti dovrebbero essere tutelati dall’offesa, nel caso della nostra religione non solo Dio, Gesù e lo Spirito Santo ma anche la Madonna e i Santi. Nel caso dell’Islàm, non solo Allah ma anche il suo Profeta.

E veniamo alla satira. Essa non è sciolta da vincoli, come ha sancito la Cassazione, ricordando che la continenza è necessaria per evitare che la satira si trasformi in mezzo per suscitare disprezzo per la persona che ne è oggetto. Per analogia si può sostenere che una satira volgare contro simboli religiosi è una forma di disprezzo nei confronti di coloro che credono in quella religione. Si può, dunque, scherzare anche “con i santi” e la divinità ma senza travalicare il sottile confine che fa sconfinare nell’offesa, nello scherno che può irritare la sensibilità di chi ha il diritto di professare una religione.

Dietro la bestemmia non c’è un pensiero critico, dietro una vignetta volgare o offensiva verso simboli religiosi non c’è la libera espressione creativa. Chi crede nel supremo valore della libertà deve sapersi porre dei limiti. Altrimenti la sua libertà va a confliggere con la libertà di credere di altre persone.

È una questione di misura e di equilibrato esercizio del diritto di espressione che deve armonizzarsi con il diritto di altri a professare una religione.

Sinceramente, alcune vignette di Charlie Hebdo contro la religione islamica questo confine lo hanno superato. Bisogna avere il coraggio di ammetterlo senza per questo nulla concedere alle reazioni violente e criminali degli estremisti islamici.

Per dirla tutta, la vera superiorità della civiltà occidentale basata sulle libertà si dimostra non offendendo chi non condivide il pensiero laico, agnostico o ateo, ma mostrando rispetto e autocontrollo verso le persone che attribuiscono a simboli religiosi un significato profondo che si può non condividere ma si deve comunque rispettare e sottrarre al dileggio. Fare il contrario significa commettere un grave autogol e dimostrare una volontà prevaricatrice che non è espressione di libertà ma di arbitrio. Una forma, insomma di inferiorità.

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