Una valore “record” per la bolletta delle spese alimentari, con rincari che oscillano tra il 5 e il 13%. La girandola di aumenti – negli ultimi quattro mesi – appare inarrestabile. Un balzo che pesa a livello globale, e in Italia nelle già precarie tasche delle famiglie in difficoltà. Gli aumenti secondo le valutazioni degli analisti sono spinti in alto dall’emergenza coronavirus con i prezzi mondiali dei prodotti alimentari che hanno raggiunto il valore massimo da inizio pandemia. L’effetto è stato dirompente con quattro rincari mensili consecutivi che riducono le possibilità di acquisto e “fanno sprofondare nella fame nuove fasce della popolazione”. È quanto emerge da una analisi di Coldiretti in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione sulla base dei dati Fao che rilevano un rincaro del 5% del prezzo del cibo nel mondo a settembre 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
“La ‘bolletta alimentare globale’, ha raggiunto il valore record degli ultimi sette mesi, da quando è esplosa la pandemia, per effetto soprattutto dei prezzi dei cereali come grano e mais che”, calcola la Coldiretti, “hanno fatto segnare aumenti del 13,6% nell’ultimo anno. Anche le quotazioni internazionali del mais rincarano ma sotto pressione al rialzo sono anche i prezzi mondiali del burro e dei formaggi e anche le quotazioni della carne di pollo”. Le previsioni anche a breve termine inoltre non fanno sperare bene, anzi possono avere delle contrazioni anche la distribuzione di prodotti alimentari.
“Con l’avanzare della pandemia la disponibilità delle produzioni agricole è diventata strategica”, fa presente la Coldiretti, “per la necessità di garantire le forniture alimentari alla popolazione che ha portato in qualche caso a limiti all’export imposti dai paesi produttori per difendere le proprie riserve di cibo. Una preoccupazione che”, osserva la Coldiretti, “per esempio nei giorni più bui del lockdown ha spinto molti Paesi ad adottare misure protezionistiche con corsa agli accaparramenti e guerre commerciali che hanno alimentato tensioni e nuove povertà”. Se si allargano dati, stime e previsioni a livello globale la situazione appare estremamente critica.
“Nel mondo”, sottolinea la Coldiretti, “si stima che quasi 690 milioni di persone abbiano sofferto la fame nel 2019 ma il numero è destinato a crescere per effetto dell’emergenza coronavirus che ha sconvolto i sistemi economici e cancellato milioni di posti di lavoro”. Le previsioni sono ancora più dure.
“La pandemia di Covid-19 potrebbe far sprofondare nella fame cronica ulteriori 130 milioni di persone entro la fine del 2020”, riferisce la Coldiretti nell’esame dei dati mondiali, “con la mancanza di cibo che colpisce nuove fasce della popolazione sia nei paesi ricchi che in quelli meno sviluppati”. Secondo l’analisi della Coldiretti sulla base del Rapporto Annuale delle Nazioni Unite, l’allarme globale provocato dal Coronavirus, “ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza”, fa presente il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che in uno scenario di questo tipo “l’Italia, che è il Paese con più controlli e maggiore sostenibilità, ne potrà trarre certamente beneficio ma occorre invertire la tendenza del passato a sottovalutare il potenziale agricolo nazionale”.
L’Italia”, ricorda la Coldiretti, “è il primo produttore UE di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne”. La produzione italiana è poi autosufficiente per quanto riguarda la produzione di carni avicole con oltre 1,3 milioni di tonnellate e di uova con quasi 13 miliardi pezzi, ma resta in deficit su alimenti base come carne, latte e cereali.
“Ci sono le condizioni per rispondere alle domanda dei consumatori ed investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che”, evidenzia Prandini, “valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti”. Qualità e produttività che però non creano ricchezza per gli agricoltori, il caso della produzione di grano ne è un esempio. “In Italia oggi gli agricoltori devono vendere ben 5 chili di grano tenero per potersi pagare un caffè e per questo nell’ultimo decennio”, conclude la Coldiretti, “è scomparso un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati ed effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente”.