Nel Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europa, recentemente tenutosi a Lussemburgo, i ministeri degli esteri dei 27 Stati membri hanno raggiunto un’intesa finalizzata ad applicare nuove sanzioni nei confronti di entità e funzionari legati al regime di Aleksandr Lukashenko. La decisione è stata raggiunta a seguito del disconoscimento delle elezioni presidenziali del 9 agosto sulle quali si pongono forti dubbi in merito alla loro regolarità e a seguito delle quali sono state poste in essere imponenti manifestazioni di protesta spesso represse con la violenza. Il Consiglio dei Ministri UE ha evidenziato come Lukashenko manchi di legittimità popolare evidenziando il diritto del popolo bielorusso ad avere nuove elezioni attraverso le quali poter scegliere il loro Presidente nel pieno rispetto della democrazia. Alle parole sono seguiti i fatti. Le sanzioni previste sono dirette verso funzionari di alto rango del regime e prevedono il congelamento dei beni ed il divieto di ingresso in territorio europeo per 40 persone ritenute responsabili dei brogli elettorali nonché della repressione dei manifestanti. Per ora le sanzioni non colpiranno la persona del Presidente ma l’UE è pronta ad estendere anche a lui le misure se la situazione non dovesse prendere un’altra piega.
Non solo Lukaschenko, però, nella lista dei cattivi in mano ai ministri degli esteri UE. Il Consiglio, infatti, ha approvato il piano di misure restrittive proposto da Francia e Germania anche nei confronti di coloro ritenuti responsabili dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexei Navalny lo scorso agosto con l’agente nervino Novichock. Anche in questo caso le sanzioni consistono nel congelamento di beni ed il divieto di viaggio verso l’Europa per diversi funzionari dei servizi di intelligence militari russi. Negando ogni addebito, il vicepresidente della commissione per gli Affari esteri del Consiglio della Federazione russa, Vladimir Dzhabarov, ha risposto sostenendo che la Russia potrebbe rispondere all’Unione Europea con misure simmetriche.
Nonostante la decisa presa di posizione nei confronti di Paesi come la Russia e la Bielorussia, fortemente carenti in tema di diritti umani, l’UE sembra non avere la stessa forza e coesione nel sanzionare membri interni anch’essi colpevoli di importanti violazioni dello stato di diritto. Il riferimento è all’Ungheria e alla Polonia. Nel regno di Orban, oltre ad un uso repressivo dei media, si contesta la continua violazione dei diritti delle comunità LGBT, mentre in Polonia la giustizia risulta essere gravemente asservita alla politica. Violazioni dello stato di diritto che risultano essere determinanti per ottenere l’accesso ai fondi del Recovery Fund. Se un compromesso sembra essere stato raggiunto relativamente al bilancio Ue 2021-2027, si riscontrano posizioni ancora lontane proprio sulla proposta di inserire il rispetto dello stato di diritto quale condizione per ottenere le somme previste dal Recovery Fund. Nonostante sia chiaro che il riferimento al processo di riforme rappresenti uno strumento predisposto per riportare in carreggiata i paesi dell’Est, come Ungheria e Polonia appunto, già sanzionati dalla Corte UE in merito ad alcune riforme sulla giustizia, alla gestione dell’informazione e al trattamento dei migranti, è proprio sull’affermazione dello stato di diritto che emerge il disaccordo di Polonia e Ungheria che hanno minacciato di porre il veto sull’intero pacchetto Next Generation UE il quale è previsto debba essere approvato all’unanimità.
La questione è di cruciale importanza per il futuro dell’Europa la quale poggia su basi che risultano essere ancora non totalmente condivise. Al fine di affermare lo stato di diritto l’UE dovrebbe impiegare la stessa determinazione posta nei confronti della Russia e della Bielorussia per rispondere ai ricatti di paesi quali Ungheria e Polonia, refrattari al rispetto di fondamentali, e storicamente condivisi, diritti umani e libertà democratiche. Questi, in quanto membri dell’Unione Europea, hanno il dovere di adeguarsi ai principi base dell’ordinamento europeo, gli stessi principi che ora consentono loro di sedersi intorno ad un tavolo e discutere di un potente strumento come il Recovery Fund.