Correva l’anno 1984. Apple presenta il suo primo Macintosh, Prince canta Purple Rain e la fine del mondo, Reagan guida gli Stati Uniti d’America e la disoccupazione nel Regno Unito di Margaret Thatcher tocca il 12%.
Trentasei anni dopo, il Regno Unito rischia di ritrovarsi con il medesimo tasso di disoccupazione e l’allarme suonato dal mondo produttivo non lascia dubbi in merito. Nonostante l’adoprarsi del Cancelliere Rishi Sunak, il timore diffuso è che saranno inevitabili milioni di licenziamenti.
Uno schiaffo per un Paese che prima del lockdown vantava un tasso di disoccupazione pari al 3,9% e che ora sta cercando di far quadrare i conti nel mezzo del micidiale combinato disposto Brexit – Covid-19 e una leadership governativa fiacca e messa sotto attacco dai giornali che a suo tempo soffiarono a più non posso sui venti della Brexit. “Questa non è la Gran Bretagna per cui abbiamo votato”, ha per esempio titolato il Daily Mail solo qualche giorno fa.
In realtà si tratta di una tessera di un mosaico più ampio. A metà settimana, le Nazioni Unite attraverso l’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, hanno reso noto che la pandemia ha finora avuto un massiccio impatto negativo sui redditi da lavoro spazzando via salari per circa 3,5 trilioni di dollari nei primi tre trimestri del 2020. Il dato equivale a 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, cui se ne aggiungerebbero ulteriori 245 milioni entro fine anno, per un totale di 740 milioni.
In questo contesto le disuguaglianze sociali sono pronte a inasprirsi anche in virtù del fatto che grazie all’accelerazione dell’automazione industriale, ulteriori milioni di posti di lavoro andranno persi e mai più recuperati.
Infatti, l’altro lato della medaglia di questa storia, ricorda tra gli altri l’economista dell’Università di Oxford Carl Benedikt Frey, è rappresentato dal numero di aziende che hanno visto i propri ricavi crollare dall’esplosione della pandemia e che, per recuperare il tempo perduto e tagliare i costi, automatizzeranno i propri processi produttivi con una ricaduta negativa nel breve su livelli occupazionali e salariali e un recupero di produttività nel lungo.
Questo significa che non possiamo avere la pretesa di congelare l’economia ai tempi pre-Covid e conservarla com’era, ma che diventa necessario abbracciare la distruzione creativa che questi tempi richiedono, ricorda Carys Roberts, direttrice dell’Institute for Public Policy Research, uno dei più influenti think tank progressisti a livello mondiale.
Perciò, per liberare il potenziale del nuovo mercato sarà chiave lavorare a un nuovo contratto sociale che da un lato protegga i più deboli e, dall’altro, individui il suo fulcro in interventi educativi straordinari centrati su ricerca applicata e formazione professionale al servizio di un’economia il cui volto sarà sicuramente diverso, ma la cui funzione per cui “la mia spesa è il tuo sostentamento e vicerversa”, come ama ricordare l’economista Paul Krugman, resterà invariata.