Quinta Puntata
I giorni passavano e dopo alcune settimane dettero il via libera a zia Pasquantonia. Ora poteva finalmente informare le famiglie che la missione era compiuta. Volevano fidanzarsi e far sapere a tutti che un nuovo amore era sbocciato a Pizzo Falcone. Trascorsero ben sei mesi da quando si conobbero e già le famiglie si misero all’opera per organizzare il matrimonio. Le usanze e i costumi di allora non consentivano ai giovani fidanzati né autonomia né spazi di manovra. I fidanzamenti troppo lunghi non erano visti di buon occhio, anche perché i due ragazzi avevano già la bellezza di trentadue anni lei e trentatré lui.
A quei tempi, una ragazza di diciotto, diciannove anni che stesse in buona salute e non fosse né “ciot” (stupida), né deforme, era già bella e pronta per il matrimonio. Superare i trent’anni, per una ragazza da maritare, era un fatto inconcepibile. Il rischio che si correva era quello di restare zitella “vacandie”, come si diceva allora. Una donna senza prospettive e quindi senza quel ruolo sociale che la cultura di allora assegnava alle ragazze, fin dalla nascita.Esterina, per la verità, non vedeva l’ora di sposarsi.
La sua mente ormai vagava felice. Non pensava ad altro che al giorno più bello della sua vita. L’abito da sposa, l’acconciatura, il bouquet di fiori, la cerimonia in Chiesa Madre, i familiari tutti in ghingheri, le amiche felici e gaudenti, la festa e il pranzo di nozze, i balli, i regali, i dolci e finalmente una casa nuova tutta per se e per lo sposo. Si stava avverando un sogno. In mezzo ai tanti sconquassi che la guerra stava provocando nel paese, quel matrimonio tra due giovani innamorati sarebbe stato un lampo di luce, uno splendido raggio di sole, mentre l’atmosfera si faceva sempre più cupa, carica di nubi che minacciavano per tutti oscuri presagi.Un’altra guerra, però, stava per abbattersi su Pizzo Falcone.
Una guerra un po’ strana, di quelle che improvvisamente scoppiavano nelle strade e tra i vicini nei rioni del paese. E fu proprio quello che avvenne nella storia di quel travagliato fidanzamento.In poco tempo, l’atmosfera tra le due famiglie di Tonino ed Esterina mutò. La bonaccia che regnava prima del matrimonio si trasformò, nel giro di pochi mesi, in una tempesta. Erano giunti al sesto mese del fidanzamento, quando Esterina incominciò ad avvertire qualcosa di strano nell’atteggiamento e nello sguardo di Tonino. Era diventavo introverso e taciturno.Sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto. Col suo intuito femminile capì subito che qualcuno si stava mettendo di traverso; che qualche ostacolo imprevisto stava per compromettere il lieto fine del loro amore.
E allora non perse altro tempo. Si precipitò a casa di Zia Pasquantonia e le confidò i suoi timori, le sue preoccupazioni e infine tutta la sua paura.Zia Pasquantonia, per non smentire la sua fama, era già a conoscenza degli sviluppi di quella storia tormentata. E non poteva essere diversamente, perché stavolta c’era in ballo non un qualsiasi matrimonio, ma quello di suo nipote. Ecco perché non poteva, sbagliare e non avrebbe consentito ad alcuno di ostacolare il suo progetto. Quando Esterina, in preda ad un improvviso attacco di panico, si recò precipitosamente a casa sua, non fu presa alla sprovvista. Sapeva già tutto. Suo fratello Fedele, il padre diTonino, una sera era venuto a trovarla.Ebbene, quella sera, Mest’Fedel aveva stampato in volto solo rabbia e amarezza. In pochi passaggi, raccontò alla sorella perché quel fidanzamento, che sembrava costruito sulle rose, si stava lentamente trasformando in un rovo di spine. Per l’amor diDio, lui non c’entrava niente! Non era lui che stava mettendo i bastoni tra le ruote.
Assolutamente! Né le sue figlie, né tantomeno la madre o la famiglia di Esterina, avevano una parte in questa storia sempre più contorta e penosa. La strega, l’arpia, lo spirito maligno che stava per distruggere l’incantesimo, indovinate chi era? Era proprio sua moglie, la Commara Carmela. E chi l’avrebbe mai detto? Sembrava una donna tanto a modo, timorata di Dio, piena di attenzioni verso il prossimo, sempre gentile e piena di premure verso il mondo intero. Invece, no! Non era vero niente.
Chi la conosceva bene, sapeva che era una maestra nell’arte dell’inganno, che era una persona avida e calcolatrice; che ci teneva molto alle apparenze e che per i suoi figli non voleva matrimoni da quattro soldi. Il matrimonio, per lei, non poteva essere solo un sacramento. Eh, no! Questo lo potevano dire i preti di Santa Romana Chiesa. A quel sant’uomo di suo marito Mest’Fedele, sempre più sottomesso dal caratteraccio della moglie, ripeteva sempre che il matrimonio dei figli doveva essere soprattutto un investimento, una buona sistemazione economica, un salto di posizione sociale.Per il figlio maschio e le due ragazze pretendeva matrimoni un pò più altolocati e gratificanti. Per lei, la sostanza andava cercata nelle proprietà e nelle masserie, nelle case e nelle vigne, nei soldi depositati alle poste o nascosti dentro il materasso.Sì, va bene, c’era il corredo. Esterina ne aveva uno molto fornito e di ottima qualità. Ma, a sentire lei, cosa potevano rappresentare per suo figlio quattro mappine e due stiavucchi o quattro sinali e dieci tuagg’ (tovaglie)? Bisognava puntare più in alto.“Figgh’m, pot’ arrva’ chhiù aialt” (Mio figlio può arrivare più in alto). “L’aspirazione dei servi è quella di comandare” dicevano gli antichi romani e infatti lei non puntava tanto alla felicità dei figli, quanto alla loro posizione economica, alla rispettabilità sociale, a condizioni di vita come quelle dei galantuomini e degli agrari. Lei, figlia di contadini e moglie di un mastro muratore non disdegnava di imparentarsi con qualche aristocratico o ricco proprietario del paese.Più che in una porta, tante famiglie del popolo volevano entrare in un portone. Quello che indicava l’ingresso dei palazzi e delle dimore gentilizie sparsi per Pizzo Falcone e gli altri due rioni di Ferrandina. Al diavolo i zappatori e i trebbiatori, i braccianti e i manovali, le sartine e le lavandaie! Dio ce ne liberi da tutti sti “Capazzappun” (zappatori), rozzi e analfabeti! Che futuro potevano avere i suoi figli con questi spiantati? Senza trascurare poi la reputazione e la rispettabilità col vicinato e nel paese. Con suo figlio Tonino e con suo marito, ogni tanto se ne usciva con quella storia che tutti, sottovoce, raccontavano in paese. Zia Marietta, la mamma di Esterina, era una figlia illegittima. Il padre era il monaco Padre Luigi Di Biase, già Priore del Monastero di San Domenico a Ferrandina. Tant’è che lei portava il cognome della madre, Filomena Genovese, non quello di suo padre, che era pur sempre un monaco da messa.
E poi, come se non bastasse, il padre di Esterina, Cumba’ Mchel’ aveva un’altra “commara” a Pomarico, un’amante da cui aveva avuto altre due figlie, anch’esse illegittime. Ce n’era abbastanza per mandare all’aria quel matrimonio. Ma, come tutte le persone false, non aveva il coraggio di affrontare di petto la situazione; non volle mai rivelare i veri motivi che la spingevano a sabotare il matrimonio con Esterina. E allora, non trovò di meglio che attaccarsi ad un pretesto. Ad un miserabile, banale, assurdo pretesto. Zia Pasquantonia, per la verità, aveva captato tutto questo groviglio di ipocrisia e falsità nell’animo della cognata. Però, era pur sempre la moglie di suo fratello. E lei, per quieto vivere, giustificava, copriva sempre (cummugghiav) quel suo modo di porsi nei confronti di quel piccolo mondo che era Pizzo Falcone. Anche se non era comunque disposta a dargliela sempre vinta.
Anche Zia Pasquantonia era una donna di mondo, ma…c’era un limite a tutto!
A lei, tutte le volte che pensava a quei due bei ragazzi, si intorcigliava l’anima. “Come fa una madre, per quanto perfida e ambigua, a intralciare e distruggere la felicità di suo figlio? Perché tutta questa cattiveria? Che cosa aveva da ridire sulla serietà, sulla bellezza e la simpatia di Esterina”? Sapeva, perché glielo aveva confidato suo fratello, che ebbe da ridire sul corredo.Secondo lei non era sufficiente per costituire una dote adeguata. Oltre al corredo, pretendeva che la madre di Esterina dovesse mettere a disposizione degli sposi anche la loro bella macchina da cucire, un vero capitale per zia Marietta, indispensabile per cucire e confezionare il corredo delle altre due figlie femmine.
Per farla breve, pretese che nel corredo della figlia dovesse entrare proprio quella macchina per cucire, una bellissima Singer che Zia Marietta aveva fatto arrivare direttamente da Napoli. Allora, in pochissime case di Pizzo Falcone si poteva trovare una macchina del genere. Zia Marietta l’aveva comprata con i risparmi accumulati grazie alle rimesse di suo figlio Tonino. Ogni mese, da quando, nel 1922, si era stabilito ad Hartford in America, inviava alla famiglia un bel pacco con tante cose buone da mangiare, piccoli oggetti per la casa e vestiti alla moda americana.
In fondo al pacco, poi, c’era un piccolo tesoro: una lettera alla mamma con dentro, avvolta da un foglio ben levigato, una preziosa banconota da dieci dollari.Su questa benedetta pretesa, però, i conti non tornavano. Non tanto Esterina, pur sempre abbagliata dall’amore, quanto sua madre, Zia Marietta aveva incominciato a sospettare e intuire qualcosa. Il suo fiuto di donna accorta, energica e sapiente la spingeva oltre, ben al di là delle apparenze e delle convenzioni sociali. E’ vero che tanti matrimoni, allora, si sfasciavano per questioni di corredo. Ma non era questo il caso di sua figlia. Esterina portava in dote un ottimo corredo da dodici, una discreta somma di denaro e poi, col tempo, le avrebbe pure lasciato in eredità alcuni terreni in contrada Castelluccio, una contrada di campagna che si trovava su un altro colle di Ferrandina, anche questo luminoso e ventilato come quello dei Cappuccini. Zia Marietta era tutt’altro che ingenua o sprovveduta. Aveva intuito che la figlia non era gradita in quella famiglia e in particolare non era ben vista dalla sua futura suocera, una donna che si stava rivelando sempre più perfida e cattiva. Se anche avesse ceduto sulla macchina da cucire, cosa ne sarebbe stato di sua figlia? Un matrimonio che nasceva sotto i peggiori auspici avrebbe significato per Esterina solo umiliazioni, incomprensioni e soprattutto tanta, tanta infelicità.
E allora decise che quella macchina da cucire, quella nuovissima Singer costata enormi sacrifici, non sarebbe mai uscita dalla loro casa di Via Venita. Quello era un pretesto, tutta una scusa per nascondere i motivi veri e profondi che ostacolavano il matrimonio dei loro figli. Fu proprio allora, prima che la situazione precipitasse, che Esterina decise di andare da Zia Pasquantonia, per confidarsi e soprattutto per implorare che fosse lei a sbrogliare la matassa e a mettere la buona parola, per ammansire quella svergognata (cheda frasctazz!) Solo lei, Zia Pasquantonia, poteva smussare e ammorbidire l’atteggiamento ambiguo e subdolo della cognata.