È necessario che di riforme si parli tutti insieme. Non è più una competenza esclusiva dei partiti politici. Ci siamo convinti che i partiti, da soli, non sono in grado di concludere più nulla. Troppo attaccati alle vecchie ideologie e alle vecchie contrapposizioni, più personali che politiche. E anche i giornalisti non sono da meno. È troppo tempo che i giornalisti opinionisti, sempre gli stessi, fanno propaganda per questo o quel politico, per questo o quel partito perché è finito il tempo in cui i quotidiani si sbracciavano per dire che erano indipendenti. Tutti i settori della vita sociale si sono politicizzati, solo la politica si è spoliticizzata: seguita a sbandierare le ideologie ma dichiara che l’importante è fare il bene del Paese.
Come se ci fosse qualcuno che vuole fare il male del Paese. Il problema è dire chiaramente come si vuole fare questo bene. Se ci sono ancora valori da difendere che hanno matrice di sinistra o di destra. Certo è, però, che gli italiani hanno votato i grillini che di matrice non ne volevano, allora, né di destra né di sinistra e neppure di centro: hanno inventato il non luogo della politica come se la politica si facesse come gli amministratori di una qualunque società commerciale. Non è così, la politica è ancora quella cosa che può portare ad una terza guerra mondiale o ad una pandemia economica planetaria.
Occorre che si abbia il coraggio di prendere posizioni politiche, prima, e poi cercare di proporre riforme aderenti ai valori di quelle posizioni. Di quali riforme possiamo parlare in Italia se ogni partito, anzi, ogni capo partito, ha una sua idea personale. Per proporre riforme occorre che scatti il miracolo del connubio della cultura con la politica. Perché non è facile. Non basta essere colti e tecnici. Serve che oltre alla cultura ci sia un bagaglio di ideali, e non di ideologie. Il confronto deve essere doppio: tecnico-culturale e politico. Quali riforme possiamo fare per questa nostra Italia se non fissiamo i fondamentali della nostra convivenza e sopravvivenza sociale.
Ci rifacciamo ad un liberalismo economico, al mercato libero, alla finanziarizzazione della vita, al lavoro come fattore produttivo o al lavoro umano come essenza della vita stessa? L’altro è lontano da noi o è il nostro prossimo. Possiamo e dobbiamo aiutare l’altro, ma occorre declinare le modalità. Il premier di oggi, Giuseppe Conte, non è un legante ma un ricatto: o con me o tutti a casa. Questa è la forza più significativa che ha il presidente del consiglio dei ministri.
E la paura dei nostri parlamentari è talmente alta che nessuno si azzarda a far sentire veramente la sua voce. Piccoli sussurri. Angoli di pensiero appena accennati. Alzano la voce solo sugli avversari politici, che poi non sanno neppure più se sono veramente avversari politici o sono semplicemente gli altri, e fino a quando non se lo chiedono nemmeno più.