La Commissione e il Consiglio europeo, già nella relazione comune sull’occupazione del 2019, hanno ribadito che l’allontanamento dei giovani dal mercato del lavoro, se riguarda lunghi periodi, può avere serie e negative ricadute sulla coesione sociale e sulla crescita potenziale.
La popolazione europea più giovane ha risentito maggiormente dalla crisi del 2008 e, seppure molti Stati abbiano provveduto a mettere in piedi politiche di sussidio, la questione è tutt’altro che risolta. Anzi, si è intensificata con la pandemia.
Sono indispensabili, ora più che mai, azioni concrete da parte dei Paesi membri per l’attuazione di riforme volte a contrastate il fenomeno della disoccupazione giovanile e dell’abbandono scolastico che, in ragione della situazione attuale, rafforzino le strategie Europa 2020.
Anche se il problema dell’occupazione giovanile interessa l’intera Europa, i paesi più colpiti restano quelli del sud e dell’est Ue. L’Italia detiene il record di disoccupazione tra i giovani, figurando al penultimo posto della classifica europea, secondo dati Eurostat relativi all’anno 2017.
Il rapporto Istat del 22 luglio 2020 mette in luce quanto incida sull’occupazione il livello di istruzione: 35,4% è il tasso di occupazione dei 18-24enni che hanno precocemente abbandonato gli studi, mentre è di 53,6% per coloro che hanno conseguito il diploma.
Il tasso di occupazione dei giovani diplomati e laureati alla fine del percorso di istruzione e formazione è in rialzo (+2,2 punti sul 2018; 22,8 punti di divario dall’Ue), ma resta il dato che in Italia la quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6% contro il 33,2% dell’Ue. Nel Mezzogiorno rimangono nettamente inferiori sia i livelli di istruzione (il 54% possiede almeno un diploma, 65,7% nel Nord) sia i tassi di occupazione anche delle persone più istruite (71,2% tra i laureati, 86,4% nel Nord).
I giovani risultano più istruiti rispetto al resto della popolazione: nel 2019, il 76,2% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore, a fronte del 50,3% dei 55-64enni, del 57,7% dei 45-54enni e del 68,3% dei 35-44enni.
Lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa, però, si conferma elevato: nel 2019 la quota di giovani laureati non cresce (27,6%; -0,2 punti rispetto al 2018) e il nostro Paese resta indietro, superando solo la Grecia.
Il limitato numero di giovani laureati in Italia, riduce le loro prospettive occupazionali rispetto ai valori medi europei: la quota degli occupati tra i 30-34enni laureati è di 78,9% contro un valore medio europeo dell’87,7%.
Se, come indicano i numeri, un basso livello di istruzione risulta una delle cause della disoccupazione giovanile, a incidere negativamente sui valori italiani è senza dubbio il fenomeno degli Early Leavers from Education and Training (ELET), ossia l’abbandono precoce del sistema di istruzione e formazione. Una scelta, quella dell’abbandono scolastico, che non si tramuta in entrata nel mondo del lavoro.
Nel confronto con l’Europa, infatti, in Italia alla più elevata incidenza di giovani che abbandonano precocemente gli studi, si associa una quota di occupati, tra questi, decisamente inferiore (-11 punti). Nel nostro Paese è occupato il 35,4% di giovani ELET, mentre nella media Ue il 46,6%.
L’uscita dal percorso di formazione che non si traduce in occupazione, genera un’altra categoria di giovani accomunati dal rischio di concrete difficoltà di inclusione nel mondo del lavoro: i NEET (Neither in Employment nor in Education and Training).
In Italia nel 2019 i NEET rappresentano il 23,2% dei residenti tra i 18-24 anni. Un dato preoccupante, considerato che si parla di quasi 1 giovane su 4.
Tra di essi il 36,8% cerca attivamente un lavoro, il 31,1% fa parte delle forze di lavoro potenziali, mentre il restante 32,0% non cerca un impiego e non sarebbe disponibile a lavorare.
Seppure la situazione italiana non risultava incoraggiante già prima della crisi, in tutta Europa si stava comunque registrando un calo di disoccupazione rispetto al picco del 2013, che da 24,4% era scesa a 14,9%. Ma già ad aprile 2020 è risalita a quota 15,7%.
L’OIL (International Labour Organization) stima che più di un giovane su sei ha smesso di lavorare dall’inizio della pandemia, e quelli che hanno conservato il lavoro si sono visti ridurre del 23% le ore di lavoro.
Alla luce di questa crisi, l’Unione europea ha previsto un pacchetto di sostegno all’occupazione giovanile fondato su quattro punti: rafforzare la garanzia per i giovani, implementare i percorsi di istruzione e formazione professionale, dare un nuovo slancio all’apprendistato, aumentare le misure a sostegno dell’occupazione giovanile.
Il 10 luglio il Parlamento ha adottato una risoluzione sugli orientamenti dell’UE per l’occupazione, con la quale ha sostenuto la necessità di una revisione in seguito alla pandemia di Covid-19.
Il Parlamento ha appoggiato, inoltre, un aumento del bilancio fino a 145 milioni per l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile (IOG) per il 2020.