L’Europa ha fatto la sua parte. Ora tocca a noi. E non abbiamo più alibi per nasconderci dietro le nostre incapacità, inefficienze, furbizie. Se pensiamo a quali erano le prime reazioni delle varie istituzioni europee alla sciagura che si stava abbattendo sull’Italia a metà marzo, sembra che sia passato un secolo.
Tutti ricordiamo Christine Lagarde che il 12 marzo storceva il naso dicendo che la BCE non si occupa del calo degli spread e non citava il whatever it takes di Mario Draghi.
Le cose sono radicalmente cambiate. La BCE ha aumentato il Quantitative Easing, impegnandosi ad acquistare prima 750 miliardi di titoli pubblici cui ha aggiunto altri 600 miliardi. Un bazooka da 1350 miliardi per mettersi in pancia anche bond emessi da enti internazionali e sovranazionali senza il limite del 33% per i titoli di stato e del 55% per i sovranazionali. In più la BCE ha tolto anche il vincolo per cui acquistava titoli di uno Stato in relazione alla quota di partecipazione di questo Stato alla BCE. In pratica l’Italia è il Paese che beneficerà più di tutti gli altri. Da qui a fine anno, su circa 325 miliardi che il Tesoro dovrebbe emettere, la BCE acquisterà il 66% pari a 215 miliardi.
Ricordiamo cosa diceva la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen il 29 marzo sui Coronabond? “E’ uno slogan e non stiamo lavorando a questo”. Da allora la Presidentessa ha cambiato radicalmente rotta diventando strenua paladina della emissione di bond della Commissione e dell’ambizioso New Generation EU, il piano da 750 miliardi finalmente operativo.
E che dire di Angela Merkel che a marzo alzò una diga contro la condivisione del debito e che il 2 maggio pensava ad un Recovery Fund di soli 300 miliardi? La Cancelliera, abituata ai ripensamenti, è stata poi l’artefice del faticoso accordo con i Paesi egoisti.
Bisogna riconoscere al Presidente francese Macron di essere stato coerente fin dall’inizio del disastro, auspicando da subito interventi massicci dell’Unione europea per fronteggiare la crisi.
L’Italia ha avuto sempre al suo fianco la Spagna, il Portogallo e altri Paesi che non ci hanno lasciati soli nello scontro con il fronte guidato dall’Olanda.
Non possiamo proprio lamentarci né piagnucolare come spesso facciamo dolendoci che nessuno ci capisce. Questa volta siamo stati capiti e alla fine ci è stato dato più di quello che forse realisticamente ci aspettavamo.
Fatti i conti, oltre a 215 miliardi di titoli che la BCE riacquisterà, abbiamo 25 miliardi per la cassa integrazione dal Fondo Sure, 20 miliardi dalla Banca europea degli investimenti cui si aggiungono i 209 miliardi del piano di ripresa europea. Si tratta di 254 miliardi cui potrebbero sommarsi i 36 miliardi del MES, e arriveremmo a 290 miliardi. Una cifra enorme, circa 20 punti di PIL.
Conte ha condotto un’ottima battaglia, bene ha fatto Berlusconi a dargli solidarietà durante i momenti più duri, malissimo ha fatto e continua a fare Salvini a deridere i risultati che l’Italia porta a casa definendoli “una fregatura grande come una casa”. Un commento che, credo, gran parte dello stato maggiore e anche dell’elettorato della Lega non condivide.
Sbaglia chi si straccia le vesti per il meccanismo di autorizzazione e controllo sul piano che l’Italia deve presentare e realizzare per ottenere i 209 miliardi sbaglia. Questi meccanismi costringono il Governo a non fare sciocchezze e offrono a Conte un’arma potentissima per rimettere in riga coloro che lo tireranno per la giacca chiedendogli favori per questa o quella corporazione.
L’Europa sarà severa e occhiuta con le scelte che l’Italia farà e con il rispetto dei tempi per la realizzazione delle varie riforme. Questo ci costringerà a non perdere tempo in chiacchiere e a metterci seriamente a lavorare.
Ora è il momento delle scelte coraggiose, delle riforme che finora non si facevano per le resistenze di quelle che Guido Carli chiamava le “arciconfraternite del potere” che tutto paralizzano e difendendo rendite e privilegi.
Conte ha avuto la fortuna di scrivere una pagina storica per l’Europa. Ora senta tutta la responsabilità di fare altrettanto per l’Italia. Non sarà una passeggiata, ma è l’ultima chance che abbiamo. I giovani cui è diretto il Piano europeo sono i nostri figli e hanno il diritto di avere un futuro non di povertà, umiliazioni e tristezza ma di benessere, sano orgoglio e felicità.
Scrivi all’autore dell’articolo