Si chiama Antonietta D’Oria, è il sindaco di Lizzano, comune in provincia di Taranto, da ieri paladina del mondo Lgbt, eroina della sinistra e del circuito mainstream, che non ha fatto altro per tutta la giornata che elogiare le gesta di questa “coraggiosa” (così è stata definita manco avesse sfidato chissà chi) prima cittadina.
Ma cosa è accaduto in concreto? Che un gruppo parrocchiale ha organizzato all’interno della chiesa un “rosario per la famiglia”, una preghiera comunitaria contro l’approvazione del Disegno di legge sull’omotransfobia in discussione in Parlamento proposto dai parlamentari dem Zan e Scalfarotto. Un progetto di legge criticato da più parti perché, con il pretesto di combattere le discriminazioni sessuali e di genere, rischia di imporre di fatto l’ideologia gender andando a reprimere qualsiasi opinione contraria.
Appena la notizia si è diffusa, un altro gruppo di persone ha deciso di organizzare una manifestazione di protesta davanti alla chiesa, presentandosi muniti di bandiere arcobaleno e distribuendo volantini, in cui in pratica si stigmatizzava l’iniziativa con espliciti richiami al Vangelo, appositamente estrapolati per dimostrare che Gesù non era contro le persone gay.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri, pare avvisati dal parroco timoroso che i manifestanti potessero forse entrare in chiesa, che hanno iniziato ad identificare le persone. Ma ecco che sulla piazza si è materializzata lei, la sindaca, che ha iniziato a protestare contro le forze dell’ordine. “Questo è un diritto dei cittadini, cosa stanno facendo?” ha chiesto ai carabinieri. “Dobbiamo identificarli perché potrebbe succedere una rissa” ha risposto uno dei militari intervenuto. Ma ecco che la prima cittadina non ci ha visto più ed è sbottata dicendo: “Identifichi prima quelli che stanno dentro”.
Si, avete capito bene, per la sindaca di Lizzano i carabinieri sarebbero dovuti entrare in chiesa e magari identificare, schedare e se possibile pure multare, le persone riunite in preghiera. Peccato che la chiesa non è una pubblica piazza dove è diritto delle forze dell’ordine intervenire se sono in corso proteste al fine di garantire l’ordine pubblico.
Poi Antonietta D’Oria, sulla propria pagina Facebook ha rincarato la dose. “Noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze, perché, come dice padre Alex Zanotelli, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità Lgbt. A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia. Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine? Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo? Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?”.
E’ bastato questo per far sì che la sindaca di Lizzano diventasse una paladina dei diritti civili. Il problema è che per difendere il diritto a manifestare di una parte dei suoi cittadini, la signora ha finito per discriminare un’altra fetta di popolazione, quella che si era riunita in chiesa per recitare il rosario. E fino a prova contraria, non risulta che fra le competenze di un sindaco, rientri anche il diritto di dare disposizioni ad un parroco o a dei fedeli circa le motivazioni per cui si possa o meno organizzare un momento di preghiera, per giunta all’interno di un luogo di culto. La signora sindaca è liberissima di pregare per i migranti, per gli omosessuali, per le donne maltrattate dai mariti, per chi vuole, ma non può pretendere che un gruppo di parrocchiani rinunci a pregare per altre priorità che non coincidono con le sue.
Invitare i carabinieri ad entrare dentro una chiesa per identificare chi sta pregando, quasi trattando queste persone alla stregua di potenziali delinquenti, è un gesto di inaudita gravità, che denota come si tenti di silenziare e discriminare chi non si allinea all’ideologia gender, con il paradosso di voler in questo modo contrastare le discriminazioni di genere. Che, va detto, sono già punite dal codice penale con la configurazione di ben precisi reati, senza la necessità di aggravanti o di corsie preferenziali per chi si trovasse a subire una violenza per il proprio orientamento sessuale.
E fino a prova contraria non è certamente un atto di discriminazione sostenere che esista un’unica famiglia, quella naturale formata da un uomo ed una donna. E non sulla base di motivazioni religiose ma sul presupposto che è la natura ad aver stabilito che un figlio può nascere soltanto dall’unione fra persone di sesso diverso. E se è vero che la Costituzione garantisce la libertà di espressione e di opinione, dovrebbe essere anche consentito a qualsiasi cittadino di dissentire circa l’opportunità che una coppia gay possa adottare e crescere dei bambini (una bella famiglia modello Miguel Bosè per esempio, con i figli comprati in quantità industriale al mercato dell’utero in affitto e poi selezionati e spartiti al momento della separazione come mobili).
Invece no, chi si oppone all’ideologia gender e ai tentativi di introdurre l’educazione di genere a scuola per indottrinare i bambini e abituarli sin da piccoli a non distinguere più fra maschio e femmina, è visto come un fuorilegge, un fascista, un omofobo, un pericolo per la collettività e come tale da sanzionare, punire, rieducare nelle “carceri del politicamente corretto”, magari anche togliendogli i figli e affidandoli ad assistenti sociali di provata fede Lgbt (tipo Bibbiano per esempio).
E se fino ad oggi proprio le parrocchie erano rimaste l’unico luogo sicuro in cui poter sostenere certe posizioni e assumere iniziative di contrasto ai tentativi di smantellare la famiglia naturale, adesso c’è addirittura chi vorrebbe mandare i carabinieri in chiesa a bloccare una preghiera comunitaria (come avvenuto nei mesi scorsi con la scusa del Covid). E se siamo già a questo punto, cosa potra accadere di peggio se il Ddl Zan sarà legge?
(Lo_Speciale)