Nuovo allarme dell’ISTAT sul declino demografico del nostro Paese, un serio problema per il futuro della nostra economia e per lo stesso ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo.
Siamo ormai al minimo storico per le nuove nascite, calcolato a partire dall’unità d’Italia, nel secolo XIX.
In 5 anni – rileva l’istituto di statistica – abbiamo perso una quota di popolazione pari a quella di una città medio-grande come Genova.
E non si tratta solo di calo delle nascite: sono aumentati anche del 10% gli italiani che si stabiliscono all’estero e chiedono di conseguenza di essere cancellati dall’anagrafe nazionale.
Fra le regioni, il primato negativo per perdita di popolazione si registra in 3 regioni: Molise, Calabria e Basilicata, mentre gli incrementi maggiori, seppur molto relativi, si registrano nel Trentino-Alto Adige, in Lombardia ed in Emilia-Romagna.
Significativo, per non rendere più drammatico il crollo demografico, il contributo dei cittadini stranieri: i nuovi italiani. Sono più presenti, in termini assoluti, nelle regioni del nord-ovest; un po’ meno nel nord-est ed in quelle del centro, più contenuti nel nord e nelle isole.
È, in sintesi, questo lo scenario di un Paese, il nostro, che si sta progressivamente invecchiando e che, qualora questa tendenza negativa perdurasse, incontrerebbe in un futuro prossimo seri problemi per il suo sviluppo.
La crisi delle nascite parte da lontano ed è destinata ad aggravarsi con le conseguenze dell’incidenza della pandemia sulla salute delle nostre aziende e dell’economia in generale, ma è anche vero che essa ha radici in una caduta verticale del sistema tradizionale dei valori, coniugato ad un colpevole vuoto di politiche a sostegno della famiglia e della natalità.
È ora di cominciare a pensare seriamente ai rischi che incombono se vogliamo, come nazione, avere un futuro.