Se vogliamo tornare a crescere serve una politica che aiuti imprese e dipendenti. Non farlo significa condannare l’Italia a cadere in una crisi pericolosa e senza uscite.
Sabato 11 luglio su La Discussione, Antonio Falconio, nostro ex direttore – parlamentare Dc e già presidente della Regione Abruzzo – ha ricordato il nostro caro e indimenticabile Carmine Alboretti, scomparso il 22 maggio scorso all’età di appena 45 anni. Alboretti, per vari anni è stato Caporedattore e, poi, Vicedirettore de La Discussione”. Falconio ha tratteggiato l’impegno, la determinazione di Carmine che da avvocato ha avuto una passione travolgente per il giornalismo in cui era un protagonista per dedizione, sacrificio e rigore.
“Queste sue convinzioni”, ha sottolineato Falconio, “dovettero presto misurarsi con il declino della professione, tanto più evidente nella stessa fisionomia degli organi rappresentativi della categoria e nelle angustie di un settore, quello dell’editoria, sconvolto da una crisi profonda che è denunciata da anni”. Questa riconoscete e doverosa premessa nel ricordo di Carmine Alboretti, è inoltre per noi motivo di riflessione su un tema vasto e di assoluta drammatica urgenza, ossia quello dello sviluppo del Paese, del lavoro da creare, dell’impegno dello Stato e del Governo a far fiorire una nuova visione della crescita economica e della occupazione. Siamo per realizzare occasioni di occupazione e contro un inutile deleterio assistenzialismo.
Non siamo affatto convinti che l’attuale modello di dispersione di soldi pubblici dati a pioggia per non fare nulla, sia utile al Paese. Per noi è una piaga che porta frutti velenosi con un aumento di economie sommerse, di piccole e grandi illegalità e non da ultimo a un disimpegno verso il lavoro e la crescita personale e dell’economia dell’Italia.
Con l’assistenzialismo si accentuano le disuguaglianze, si favorisce il disimpegno verso il lavoro. Lo dicono le statistiche, lo ricordano gli analisti, lo sostengono le grandi Associazioni di categoria, ad iniziare da Confindustria che chiede una inversione di rotta perché la produttività in particolare dei giovani è troppo bassa, mentre il sistema di un reddito per non fare nulla è un fatto grave e ingiustificato.
Continuare a dare incentivi per non creare lavoro porterà al disastro. Non da ultimo il Centro di studi economici de la Cgia di Mestre nella sua recente analisi mette in evidenza un altro grave fatto: da maggio in Italia il numero delle pensioni erogate ha superato quello dei lavoratori, precisamente quelli che avevano una occupazione erano 22 milioni e 77 mila persone, mentre i pensionati a maggio sono stati 22 milioni 78 mila unità. Con una Italia con più pensionati che lavoratori, che vede capeggiare: Liguria, Piemonte, Toscana e Umbria tra le Regioni più anziane. Se aggiungiamo ai pensionati tutti i percettori di redditi di cittadinanza e altro, allora abbiano una Italia nel sentiero pericolosissimo della improduttività e assistenza per non lavorare. Non solo a questi numeri bisogna considerare anche il blocco produttivo di molte aziende e la conseguente messa in Cassa integrazione delle maestranze.
Una economia fatta di assistenzialismi non potrà reggere il passo con gli altri Paesi d’Europa per non parlare dei colossi come Cina, e America.
Il tracollo produttivo va evitato e lo sanno tutti, ma nessuno – tranne qualche sociologo ed economista avveduto – se ne fa una pena. Noi come in altre occasioni come giornale che riflette e discute sulle cose torniamo a sollecitare un cambio immediato di rotta. Non serve, e lo diciamo a chiare lettere, l’assistenzialismo ingiustificato, con i soldi buttati al vento, servono risorse da destinare al lavoro quello vero e concreto, è necessario dare incentivi alle aziende, ai giovani che vogliono misurarsi con l’impegno lavorativo e si applicano nel cercare un impiego. È necessario realizzare imprese, creare redditi che vanno sostenuti. Gli incentivi devono servire per creare occupazione e favorire le assunzioni con sgravi contributivi.
Bisogna ripensare il modello degli incentivi e assegnarli a chi non promettere, ma a chi realizza occupazione. Bisogna valorizzare chi fa impresa, chi crea occasioni di impiego, chi dimostra con i fatti di essere pronti a confrontarsi con le regole del lavoro, del mercato e con il futuro. Basterebbe un sistema di incentivi e di un aiuto anche in parte minima a fondo perduto per riaccendere i motori di una economia viva, libera, pronta a crescere. Se l’obiettivo è creare lavoro non abbiamo altra scelta che favorire, sostenere e scommettete sulla occupazione e come facilitare l’ingresso di giovani nel mercato del lavoro. Se la necessità è come riassorbire gli over 50 e 60 a far ritornare ad essere produttivi chi ha perso il lavoro, – che poi significa perdere molto altro non solo il potere economico ma spesso anche quello degli affetti e del ruolo sociale -, non c’è altra scelta che aiutare chi crea lavoro.
Uno Stato saggio favorisce l’occupazione, il Paese ha bisogno di questa saggezza, di moderazione e, soprattutto, di una visione economica che garantisca chi vuole impegnarsi e creare un futuro con più occasioni di occupazione e benessere per tutti.