Oggi il rischio è che start up, piccole aziende e centri di ricerca e sviluppo, siano tagliati fuori dal mercato. I vantaggi li avranno le grandi imprese, quelle decotte e chi specula. Il governo ascolti le richieste delle realtà produttive più giovani e innovative, saranno queste a farci uscire dalla crisi.
Alla lotteria dei bonus, degli incentivi, degli sconti fiscali, dei super bonus, dei fondi perduti. Ma così distribuiti, questi soldi saranno di vero aiuto al sistema produttivo? Oppure le centinaia di milioni che cadranno a pioggia, non allontaneranno la crisi, ma addirittura creeranno un nuovo buco nelle già disastrate casse Statali? Sono domande che ogni imprenditore avveduto si fa, dal momento che sulla carta gli incentivi dovranno fronteggiare una prossima crisi economica la cui ampiezza, velocità e forza distruttiva è ancora da calcolare.
L’esperienza insegna che il dare soldi alla rinfusa rischia oltre di fare un buco nell’acqua, di essere svantaggioso per chi l’impresa la fa seriamente. O peggio, di avvantaggiare le grandi e affamate grandi lobby industriali e manifatturiere in attesa dei milioni statali, (io caso Alitalia fa parte di questa storia)
oppure di favorire una moltitudine di furbetti variegati i cui obiettivi sono intascare sussidi, mentre quel “bazooka” carico di denaro mancherà il bersaglio, alla fine farà rimanere deluso chi si aspetta un rilancio dell’economia. Dando uno sguardo nel merito, infatti, il flusso di bonus e incentivi solleva parecchi dubbi sul fatto che intercettare i fondi non sarà affatto semplice per migliaia di piccole imprese. Negli ultimi due anni, ad esempio, sono nate migliaia di piccole imprese, di start up, di cooperative, di società di servizi innovativi, fondate sull’onda delle nuove leggi e sostegno alle neo imprese, sono cresciute tutte con un solo obiettivo: creare lavoro e avere una sostenibilità economica per sopravvivere. Sono imprese che hanno il loro dna nella sostenibilità dei mercati e del lavoro, dei profitti e delle idee.Ora questa parte produttiva del Paese cosa può attenersi se in questi di anni di “partenza” non è riuscita a consolidare i bilanci mentre ha subito blocchi e stop di lavori, commesse, di fatturazioni e impegni contrattuali con i committenti? Stando alla “lotteria dei bonus” l’avere fatturato poco, o di aver minori introiti, o per motivi legati al disorientamento generale di stare oggi in attesa della ripresa,significa essere tagliate fuori. È un nodo non da poco che si può riassumere così: migliaia di imprese con ottime referenze e con vista verso il futuro rimarranno nel pantano e magari annegheranno, mentre al contrario migliaia di imprese in difficoltà, o addirittura decotte già cariche di debiti faranno incetta di soldi pubblici, vivranno qualche mese poi con la chiusura addio a produzioni e maestranze. Una visione pessimista e non veritiera?
Su questo aspetto il prossimo futuro ci dirà e vedremo con i dati in mano – se qualcuno si prenderà la responsabilità di un eventuale flop -; oggi per esperienza siamo , a malincuore, già consapevoli che le scelte di incentivi a pioggia e fondi perduti dati con “l’elicottero”, alla fine provocheranno un effetto inverso, più debiti e meno lavoro. Il problema attuale è anche politico, c’è qualcuno in grado di dire che si rischia di sbagliare? C’è qualcuno a livello di responsabilità istituzionali capace di dire: “Attenzione rischiamo di penalizzare quelle imprese che davvero credono nel futuro e nel lavoro”, che “stiamo danneggiando i giovani”? Per ora c’è un discreto silenzio e si segue il pensiero unico, dei “bonus per tutti”, quanto durerà? Confindustria, Censis, Confcommercio, Istat continuano a sfornare report che indicano un autunno difficile, con l’avvento di una crisi epocale, e forse anche più – se il virus come si teme dovesse ripresentarsi in modo aggressivo e riaprire le porte a blocchi produttivi – in quel momento a resistere se avessero avuto i mezzi sufficienti, avrebbero potuto per loro natura e flessibilità, essere proprio loro le piccole imprese definite come “asse portate dell’economia italiana” a salvare il Paese e l’occupazione. Detto in numeri abbiano questo scenario: 4 milioni di attività, il 95% delle aziende presenti nel territorio, e come osservano i centri di ricerca statistici: “nonostante la crisi economica degli ultimi anni, continuano ad avere un interessante trend di crescita”.
Infine ci prodighiamo anche noi nel dare una sola indicazione: il Governo i ministeri del Lavoro e dell’Economia facciano attenzione, sbagliare oggi significa condannare l’Italia ad una lunga inesorabile crisi. C’è la possibilità di salvaguardare ancora start up e imprese di servizi, si realizzi un tavolo ad hoc per quelle nate negli ultimi 5 anni, per entrare nella loro vita, capire i loro problemi e potenzialità. Allora forse si comprenderà che parecchi guai arrivano proprio da leggi pensate e applicate male, da burocrazie e inefficienze della macchina pubblica, e dal modo sbagliato di destinare i fondi. Lo si farà? Sarà accettato questo nostro invito? Confidiamo di sì, la speranza come si sa è l’ultima delle illusioni.