Le proteste contro il crollo della valuta nazionale si estendono in tutto l’Iran, giungendo al terzo giorno consecutivo di manifestazioni e scioperi. Dopo che il rial ha toccato il minimo storico rispetto al dollaro, centinaia di cittadini sono scesi in strada in diverse città, da Teheran a Isfahan, da Shiraz a Kermanshah, denunciando il peggioramento delle condizioni di vita e chiedendo risposte al governo. La miccia è scattata domenica, quando i commercianti del Gran Bazar di Teheran hanno chiuso le serrande in segno di protesta. Da allora, le manifestazioni si sono moltiplicate, coinvolgendo studenti universitari, lavoratori e piccoli imprenditori. I cori scanditi — “Azadi” (“libertà”) e “Morte al dittatore” — evocano le proteste del 2022, ma questa volta il detonatore è economico: il rial ha perso oltre il 60% del suo valore da giugno, aggravando una crisi già segnata da inflazione, disoccupazione e carenza di beni essenziali. Il presidente Masoud Pezeshkian ha invitato il governo ad ascoltare le “legittime richieste” dei manifestanti, ma la risposta delle forze di sicurezza è stata dura: lacrimogeni, arresti e blindati nelle strade. Lunedì, il governatore della Banca Centrale ha rassegnato le dimissioni, segno di una pressione crescente anche ai vertici istituzionali. Le immagini diffuse sui social mostrano cortei spontanei, negozi chiusi e scontri con la polizia. A Qeshm e Yazd, gruppi di manifestanti hanno bloccato le strade principali, mentre a Karaj si segnalano tensioni tra studenti e forze dell’ordine all’ingresso dell’università. La crisi del rial è solo l’ultimo sintomo di un sistema economico in affanno, colpito da sanzioni internazionali, instabilità energetica e una gestione interna sempre più contestata. Per molti iraniani, il potere d’acquisto è crollato, e la speranza di un miglioramento sembra lontana. Intanto, la protesta cresce. E con essa, il rischio di una nuova ondata di repressione.



