Un’omelia densa, scandita da parole nette e immagini forti, ha segnato la messa di Natale celebrata nella mattinata ieri da Leone XIV nella Basilica di San Pietro. Al centro, e non poteva essere altrimenti, il dramma delle guerre, la sofferenza dei civili, il destino dei giovani mandati a combattere e un messaggio chiaro alla comunità internazionale: la pace non nasce dalla forza, ma dall’ascolto, dal riconoscimento della fragilità umana, dalla fine dei monologhi. Il Pontefice ha scelto di partire dal cuore del Natale, dal mistero dell’Incarnazione, per parlare dell’attualità più dolorosa. “Il Verbo si è fatto carne e ha piantato la sua tenda fra noi”, ha ricordato, collegando subito quella tenda evangelica alle tende di oggi, “come quelle di Gaza, esposte da settimane al freddo, alla pioggia e al vento”. Un’immagine che ha attraversato l’intera omelia e che ha dato concretezza al richiamo alla pace.
“Come non pensare alle tende di Gaza o a quelle di tanti profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di chi vive senza casa nelle nostre città”. Parole pronunciate senza enfasi, ma con un tono fermo, che hanno richiamato il silenzio dell’assemblea.
Attenzione ai giovani
Il Papa ha poi puntato l’attenzione sui giovani coinvolti nei conflitti. “Fragili sono le menti e le vite dei giovani costretti alle armi che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che viene loro chiesto e la menzogna di cui sono intrisi i discorsi di chi li manda a morire”. Un passaggio tra i più duri dell’omelia, che ha suscitato un lungo momento di raccoglimento in Basilica. Nel suo intervento Prevost ha rifiutato ogni lettura ideologica del Natale, riportandolo al suo significato originario: la scelta di Dio di farsi vicino alla fragilità umana: “La pace nasce quando la fragilità dell’altro ci tocca quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze”. Da qui l’affondo contro la cultura dello scontro: “La pace non nasce dall’esibizione della forza, ma dalla silenziosa potenza della vita accolta”.
Un tema, quello del rifiuto della forza, che il Papa ha ripreso più volte, anche nel messaggio natalizio e nella benedizione Urbi et Orbi. “Non servono parole prepotenti, ne risuonano già troppe”, ha detto, indicando come unica via possibile quella del dialogo e dell’ascolto. “Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno”.
Il cammino della Chiesa
Nel testo dell’omelia il Santo Padre ha richiamato anche il cammino della Chiesa, invitata a non chiudersi in sé stessa. “Il Vangelo non segue strade comode, ma attraversa ostacoli, resistenze, cuori inquieti”. Per questo, ha aggiunto, il Natale “rimotiva una Chiesa missionaria”, chiamata non a imporsi, ma a farsi presenza discreta, capace di generare bene senza rivendicarne il possesso. Il riferimento al Concilio Vaticano II è stato esplicito. “In Dio ogni parola è parola rivolta, un invito alla conversazione. Il contrario è la mondanità, che mette al centro sé stessi”. Da qui l’invito a una Chiesa che cammini insieme all’umanità, senza separarsene, senza ergersi a giudice.
Nel messaggio Urbi et Orbi, pronunciato poco dopo dalla Loggia centrale di San Pietro, Leone XIV ha allargato lo sguardo ai principali scenari di crisi: il Medioriente, l’Ucraina, l’Africa, l’Asia. Ha ricordato le popolazioni colpite dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni, invocando giustizia e dialogo. Un pensiero particolare è andato alle vittime dei conflitti dimenticati e a chi vive in condizioni di estrema povertà.
Responsabilità personale
“Gesù si identifica con chi non ha nulla con chi è costretto a fuggire, con chi ha perso la casa, con chi vive nella paura”. Da qui l’appello alla responsabilità personale: “Dio non ci salva senza di noi. La pace comincia quando ciascuno smette di accusare gli altri e si assume la propria parte”. Nel passaggio finale il Vescovo di Roma ha richiamato il senso più profondo del Natale. “Il Natale del Signore è il Natale della pace”, ha ricordato, citando la tradizione della Chiesa. Una pace che non è tregua armata, ma cambiamento di sguardo, capacità di farsi carico dell’altro. “Non la pace dell’equilibrio delle forze, ma quella che nasce quando il cuore si apre e riconosce la carne ferita dell’altro”. Un messaggio che, nel giorno più simbolico dell’anno, ha suonato come un monito rivolto non solo ai fedeli, ma ai governi e alle coscienze del mondo intero.



