Nella terza domenica di Avvento, Leone XIV ha presieduto nella Basilica di San Pietro la Santa Messa per il Giubileo dei Detenuti, inserita nel cammino dell’Anno giubilare 2025. La celebrazione è stata dedicata chiaramente al mondo carcerario, ai detenuti e a quanti operano quotidianamente nella realtà penitenziaria. Il Pontefice ha richiamato il senso del Giubileo come tempo di speranza e di responsabilità, ricordando che la vicinanza della chiusura dell’Anno santo impone una verifica concreta degli impegni assunti. “Celebriamo oggi il Giubileo della speranza per il mondo carcerario”, ha detto il Papa Leone che ha sottolineato di come come il carcere rappresenti uno dei luoghi in cui la speranza rischia più facilmente di affievolirsi. Proprio per questo, ha spiegato, il Giubileo interpella in modo diretto le coscienze di credenti, istituzioni e società civile.
Il Santo Padre ha anche ricordato che, nonostante l’impegno di molte persone, nel sistema penitenziario “c’è ancora tanto da fare”. Il carcere resta un ambiente segnato da difficoltà strutturali e relazionali, dove anche le intenzioni migliori incontrano ostacoli. Ma, ha insistito, non bisogna scoraggiarsi né arretrare.
Le condizioni del sistema penitenziario
Il Vescovo di Roma ha ribadito un principio centrale: nessun essere umano può essere identificato esclusivamente con l’errore commesso. La giustizia, ha aggiunto, non si esaurisce nella pena, ma deve essere intesa come un processo che mira alla riparazione del danno e alla riconciliazione. Da questa prospettiva nasce la possibilità di rialzarsi dopo una caduta e di intraprendere percorsi di cambiamento reali. A questo punto Prevost ha richiamato alcune criticità note del mondo carcerario, a partire dal sovraffollamento, dalla mancanza di programmi educativi stabili e dalla scarsità di opportunità di lavoro. A queste si aggiungono le difficoltà personali dei detenuti: il peso del passato, le ferite fisiche e interiori, le delusioni e la fatica di perseverare nei cammini di conversione.
Queste sfide, ha sottolineato Sua Santità, non riguardano solo chi è privato della libertà, ma anche coloro che sono chiamati a rappresentare la giustizia e a operare nelle strutture penitenziarie. Il lavoro sui pensieri e sui sentimenti è un compito che coinvolge l’intera comunità.
Il richiamo al Giubileo biblico e all’Avvento
Nel contesto liturgico dell’Avvento, il Papa ha collegato il Giubileo al suo significato biblico originario: un tempo di grazia in cui a ciascuno viene offerta la possibilità di ricominciare. Richiamando il messaggio dei profeti e del Vangelo, ha ricordato che l’annuncio cristiano parla di liberazione, di guarigione e di riconciliazione, affidate spesso alla responsabilità concreta delle persone e delle istituzioni. Il riferimento alla figura di Giovanni Battista e al suo invito alla conversione ha rafforzato il senso di un passaggio possibile, anche per chi vive situazioni segnate dal limite e dalla colpa.
Nel solco dell’impostazione di Papa Francesco, Leone ha ricordato l’auspicio che, in occasione dell’Anno santo, possano essere previste “forme di amnistia o di condono della pena” orientate a favorire il recupero della fiducia in sé stessi e nella società. Si tratta, ha spiegato, di strumenti finalizzati a offrire reali opportunità di reinserimento e non di una negazione della giustizia. Il Giubileo, ha ribadito, chiama le istituzioni a interrogarsi sulle modalità con cui la pena può contribuire al cambiamento e non alla sola esclusione.
“Che nessuno vada perduto”
Il messaggio conclusivo dell’omelia è stato affidato a un richiamo netto: “Che nessuno vada perduto e che tutti siano salvati”. Un’espressione che sintetizza il senso dell’impegno richiesto dal Giubileo e che riguarda detenuti, operatori, responsabili politici e comunità.



