La Svizzera si prepara a ridimensionare uno dei programmi militari più discussi degli ultimi anni: l’acquisto dei caccia F‑35A dagli Stati Uniti. Il Consiglio federale ha confermato che non sarà più possibile mantenere l’ordine originario di 36 velivoli entro il tetto di spesa di 6 miliardi di franchi approvato dai cittadini nel referendum del 2020. L’aumento dei costi imposto da Washington — stimato tra i 610 milioni e oltre 1,3 miliardi di franchi aggiuntivi — ha reso inevitabile una revisione al ribasso del numero di jet acquistabili. La decisione arriva dopo mesi di tensioni tra Berna e il governo statunitense, che ha contestato l’interpretazione svizzera del prezzo “fisso” concordato nel 2021. L’incremento dei costi è attribuito a fattori globali: rincari delle materie prime, energia più cara e aggiornamenti tecnici obbligatori, come il nuovo pacchetto software TR‑3, indispensabile per la piena operatività del velivolo. Il governo elvetico ha incaricato il Dipartimento della difesa di negoziare “il massimo numero possibile” di F‑35A entro il budget stabilito, evitando richieste di crediti supplementari che avrebbero inevitabilmente riacceso lo scontro politico interno. La cifra finale non è ancora stata resa pubblica, ma la riduzione appare ormai certa. La scelta pesa su un programma già segnato da polemiche: dall’opposizione dei gruppi pacifisti alle critiche sulla trasparenza dei costi, fino alle accuse di eccessiva dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti. Eppure, per l’aeronautica svizzera, l’F‑35 resta il perno della modernizzazione della flotta, chiamata a sostituire gli F/A‑18 e i Tiger F‑5 ormai prossimi al ritiro. Il taglio dell’ordine non blocca il progetto, ma ne ridisegna l’ambizione. In un’Europa che accelera sulla difesa, la Svizzera si trova ora a bilanciare prudenza finanziaria e credibilità strategica, cercando di non trasformare un investimento simbolo in un caso politico permanente.



