Alle Nazioni Unite si alza il tono dello scontro diplomatico: gli Stati Uniti hanno accusato il Ruanda di aver contribuito all’escalation militare nell’Africa centrale, spingendo la regione verso una nuova guerra. L’intervento, pronunciato durante una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, ha puntato il dito contro il sostegno ruandese al gruppo armato M23, attivo nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Secondo Washington, Kigali avrebbe violato gli accordi di pace firmati appena una settimana fa a Washington, in presenza del presidente Donald Trump e dei leader di RDC e Ruanda. “Non possiamo ignorare il ruolo del Ruanda nel destabilizzare l’area”, ha dichiarato l’ambasciatrice statunitense, sottolineando come l’offensiva dell’M23 abbia già causato oltre 200mila sfollati e decine di vittime. Il governo ruandese ha respinto le accuse, definendole “strumentali e infondate”, e ha ribadito il proprio impegno per la pace. Ma la tensione resta alta. Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha accusato il Ruanda di “boicottare l’accordo” e di sostenere attivamente i ribelli, che puntano al separatismo nella regione del Kivu. L’Unione Europea ha espresso preoccupazione per la ripresa delle ostilità, pur lodando gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti e del Qatar. Anche l’ONU ha lanciato l’allarme: la crisi umanitaria si aggrava, mentre la MONUSCO, la missione di pace dell’ONU, fatica a contenere le violenze. La situazione rischia di degenerare in un conflitto regionale su larga scala. E mentre Trump rivendica il ruolo di mediatore, la realtà sul terreno racconta una pace fragile, minacciata da interessi geopolitici e rivalità storiche. Il Ruanda, al centro delle accuse, si trova ora sotto i riflettori della diplomazia internazionale.



