L’ennesimo braccio di ferro tra Israele e Nazioni Unite ha segnato la giornata a Gerusalemme Est, dove le forze israeliane sono entrate nel complesso dell’Unrwa nel quartiere di Sheikh Jarrah, hanno interrotto le comunicazioni e sostituito la bandiera dell’Onu con il vessillo israeliano. Una mossa che l’agenzia per i rifugiati palestinesi definisce una violazione frontale dell’inviolabilità dei locali Onu, mentre sul piano politico e diplomatico proseguono le trattative sul disarmo di Hamas, sulla nuova amministrazione della Striscia e sui rapporti tra Israele e i suoi alleati.
Secondo fonti palestinesi, nella notte le forze israeliane sono entrate con camion e gru nel quartier generale dell’Unrwa, hanno arrestato il personale di sicurezza, sequestrato i telefoni e isolato l’area, passando al setaccio gli edifici. Il Governatorato di Gerusalemme ha parlato di «violazione grave del diritto internazionale» e ha ricordato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che impone agli Stati di proteggere istituzioni Onu e operatori umanitari.
Il raid arriva dopo mesi di campagne contro l’agenzia e dopo la decisione israeliana di vietare le attività dell’Unrwa a Gerusalemme Est. Il commissario generale Philippe Lazzarini ha denunciato che la polizia, accompagnata da funzionari comunali, ha portato via mobili, computer e altri beni. Ha ricordato che, indipendentemente dalle misure adottate a livello nazionale, la sede mantiene lo status di sito Onu, immune da perquisizioni e sequestri.
Seconda fase del piano Trump
A New York e Doha prosegue il lavoro sulla seconda fase del piano in venti punti per Gaza. A New York si è tenuto un incontro tra il capo del Mossad David Barnea, rappresentanti del Qatar e l’inviato Usa Steve Witkoff per definire un meccanismo trilaterale che coordini disarmo di Hamas e nuova amministrazione della Striscia lungo la futura Linea Gialla.
Da Doha, Bassem Naim conferma che Hamas è pronta a discutere una «formula globale» che includa congelamento o deposito delle armi e segnala progressi con l’Anp sul comitato tecnocratico destinato a governare Gaza, probabilmente guidato dal ministro della Salute Majed Abu Ramadan.
Nella Striscia Hamas deve però fronteggiare le milizie popolari anti Hamas: dopo l’uccisione del comandante Abu Shabab, ha imposto un ultimatum di dieci giorni alla resa. Alcuni leader ribelli affermano di avere nuove adesioni e chiedono direttamente a Trump sostegno contro «una gang» che domina Gaza.
Dubbi europei e monito tedesco contro l’annessione
In visita in Israele, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ribadito il sostegno alla sicurezza israeliana ma ha avvertito che non ci devono essere passi, nemmeno indiretti, verso l’annessione della Cisgiordania. Il collega della Cdu Norbert Röttgen definisce la strategia americana «una seconda svolta epocale» per l’Europa, evocando il precedente degli accordi di Monaco.
Intanto Netanyahu ha ricevuto a Gerusalemme l’ambasciatore Usa all’Onu Mike Waltz per discutere del piano di pace, mentre a fine mese il premier dovrebbe recarsi negli Stati Uniti per incontrare Trump. Da New York, il presidente israeliano Isaac Herzog attacca il sindaco eletto Zohran Mamdani, accusandolo di «disprezzo» verso Israele e di alimentare un clima di crescente antisemitismo negli Usa.
Netanyahu rivendica la forza di Israele in Knesset
Alla Knesset Netanyahu ha difeso la gestione della guerra e dell’economia, sostenendo che Israele è «più forte che mai», prima potenza militare regionale e con indicatori economici migliori di molti Paesi occidentali. Ha denunciato «ondate di antisemitismo» in Occidente, attribuite a radicalismi islamici e campagne d’odio online, ricordando i fondi stanziati per contrastarle. Il Guardian rivela tensioni nel Centro di Coordinamento civile-militare: l’esercito israeliano avrebbe registrato riunioni con partner statunitensi e alleati, suscitando proteste Usa. L’Idf smentisce: «Normale documentazione».
Pressioni e mediazioni regionali
Sul piano regionale, l’Egitto ammonisce Israele contro qualsiasi incursione in Siria. A Baku, il ministro iraniano Araghchi tenta di ricucire con il presidente azero Aliev dopo mesi di tensioni legate alla cooperazione tra Azerbaigian e Israele. In Libano, secondo il quotidiano Nidaa al Watan, Nabih Berri avrebbe chiesto alla guida iraniana Khamenei una fatwa che permetta a Hezbollah di consegnare parte dell’arsenale per sbloccare un accordo. Walid Jumblatt riafferma le condizioni minime per i negoziati: ritiro delle truppe israeliane, cessate il fuoco stabile, ritorno dei residenti del sud. Nessuna apertura alla normalizzazione.



