Nel mese di agosto scorso (quotidiano la discussione del 27 agosto 2025), commentammo l’intervento del Presidente Draghi al Meeting di Rimini affermando che l’unità europea nella difesa e nella politica estera non è un sogno federalista, ma una necessità per la prosperità la pace e la sicurezza dei popoli europei. A distanza di pochi mesi dal nostro appello, gli eventi internazionali confermano questa “evidente” preoccupata previsione, anzi la amplificano e la rendono fruibile agli occhi di tutti.
Il mondo ha accelerato, è alla ricerca di nuovi equilibri: probabilmente nascerà un mondo con potenze multipolari che dovranno competere (speriamo pacificamente) tra loro. La scienza, le conoscenze e le competenze avranno un ruolo decisivo per definire la leadership tra popoli e nazioni. Intanto le crisi si moltiplicano, le vecchie certezze – dalla stabilità internazionale, alla garanzia americana – non sono più scontate.
Dopo la seconda guerra mondiale, nella definizione del nuovo ordine mondiale diviso in due blocchi contrapposti (tra capitalismo e comunismo) la sicurezza europea era stata “appaltata” agli americani: Essi in realtà avevano rilevanti interessi geopolitici e culturali in Europa, Medio Oriente ed Africa, vi era quindi coincidenza di esigenze. Oggi, come da tempo chiaramente espresso dagli stessi americani, le loro sfide da affrontare sono verso la Cina, l’India, il sud America, per cui nella ricerca degli equilibri internazionali conseguenti, l’Europa dovrebbe – nell’auspicio statunitense – “saper badare a sé stessa”.
Un mondo che cambia più velocemente della nostra politica
Ma l’Europa, stretto mosaico di Stati troppo spesso divisi, si scopre vulnerabile proprio mentre dovrebbe mostrarsi più forte. Oggi non possiamo più limitarci a osservare. È arrivato il tempo delle scelte.
Negli ultimi mesi, tre dinamiche globali hanno assunto un peso evidente:
- la competizione strategica tra Stati Uniti e Cina, sempre più aperta,
- l’instabilità ai confini dell’Unione, tra Europa orientale, Mediterraneo e Medio Oriente,
- l’aumento delle minacce ibride, cibernetiche e infrastrutturali, che non conoscono confini né tempi istituzionali.
In questo contesto, continuare a fare politiche differenti tra i ventisette Paesi è semplicemente impossibile.
L’Europa non è minacciata da una guerra tradizionale, ma da una lenta erosione della sua capacità di influire sul mondo.
E quando non si influenza, si subisce.
Politica estera e difesa: le due metà della stessa sovranità
Spesso si discute di difesa europea come se fosse una questione tecnica, fatta di budget, sistemi d’arma, comandi e procedure.
Senza dubbio esiste anche questo.
Ma prima ancora di essere una questione militare, la difesa è una questione politica.
Una politica estera senza difesa è una mente senza braccio.
Una difesa senza politica estera è un braccio senza mente.
Non funziona.
Se vogliamo contare nel mondo, se vogliamo proteggere i nostri cittadini, se vogliamo affrontare da protagonisti le grandi crisi globali, dobbiamo fare ciò che gli altri fanno da decenni: parlare con una voce sola.
Non significa rinunciare alle identità nazionali.
Significa decidere insieme quali obiettivi servono all’interesse comune europeo.
E muoversi di conseguenza.
Perché oggi è il momento giusto
Paradossalmente, questo è uno dei rari momenti storici in cui politica, opinione pubblica ed economia convergono nella stessa direzione:
- gli Stati europei stanno aumentando la spesa per la sicurezza,
- le società europee capiscono che il mondo è cambiato e chiedono protezione,
- le istituzioni dell’Unione iniziano a discutere apertamente di un vero coordinamento strategico.
Quello che per anni è sembrato un “sogno da federalisti convinti” oggi appare per ciò che realmente è: una necessità pratica, molto concreta.
Se non si riuscisse nell’immediato a costruire una politica estera comune, l’Europa dovrebbe comunque come primo passo concreto procedere sulla difesa: Sarebbe il minimo indispensabile per non rimanere indietro e perdere ancora terreno rispetto alle grandi potenze multipolari. Sarebbe cioè una prima affermazione che l’Europa si affaccia sulla scena mondiale come attore con la propria identità storica, culturale e, non dimentichiamo, forza economica, industriale e finanziaria.
Limitarsi alla semplice difesa comune (già De Gasperi nel 1954 l’aveva profetizzata come primo passo indispensabile per non ricadere nelle guerre tra i popoli come era già successo per due volte nel 1900)), non sarebbe la soluzione definitiva – anzi, sarebbe come camminare con una gamba sola, perché una difesa senza una strategia politica condivisa rischia di essere inefficace o incoerente – ma sarebbe comunque un passo importante nella giusta direzione per non perdere più terreno rispetto ai massimi interlocutori mondiali.
Una difesa comune europea, infatti, creerebbe almeno le condizioni minime di interoperabilità, responsabilità e coordinamento che oggi mancano.
E proprio quel passo, anche se incompleto, potrebbe diventare il motore per far maturare finalmente anche la politica estera comune, che oggi è bloccata più da logiche di veti che da reali divergenze strategiche.
Gli antichi romani affermavano il principio del “divide et impera”. È proprio questo che l’Europa sta subendo attraverso attacchi di ingerenza e di influenza soprattutto da est già da prima che la Russia entrasse in guerra con l’Ucraina. Il tentativo (che rischia seriamente di andare a buon fine) è di frammentare e disperdere le energie degli Stati europei dietro ad interessi di parte. Sfruttando la libera espressione e circolazione del pensiero e delle idee – presupposto delle democrazie ma al tempo stesso “vulnus” – disinformando, manipolando – utilizzando la propaganda –, influenzando – anche attraverso attacchi cyber – assistiamo a evidenti sforzi di intossicare, infiltrare e destabilizzare l’Europa, ingerendo nelle dinamiche economiche sociali di convivenza e politiche: è la cosiddetta minaccia ibrida che è stata portata a conoscenza dell’opinione pubblica italiana proprio dal nostro eccellente Ministro della difesa ed alla Nato dall’Ammiraglio Cavo Dragone che ha ipotizzato – non senza uno strascico di polemiche, a volte strumentali-una difesa proattiva verso la neutralizzazione di queste minacce.
Mentre l’opinione pubblica Europea dibatte liberamente e fa anche autocritica nel perfetto stile democratico, nulla o poco si sa o si dibatte, per corrispondenza e reciprocità, su quanto accade nei regimi oligarchici e autocratici, che tali libertà comprimono e controllano con il pugno di ferro.
In sintesi è lecito pensare che se la NATO non si fosse allargata ad EST (con il consenso democratico delle nazioni interessate – ultima l’Ucraina –) sarebbe stato l’EST a sfruttare l’inerzia americana ed europea per allargarsi ad OVEST. Ciò è testimoniato dalla conclamata guerra ibrida posta in essere da tempo e che solo adesso si manifesta nella sua insidiosa evidenza. Lo scopo sarebbe quello di spingere l’Europa a dipendere e sottostare ad un rapporto che i regimi oligarchici e autocratici “per definizione” non considerano mai paritetico – ma di sottomissione – anche utilizzando lenecessità connesse all’approvvigionamento delle risorse energetiche, vitali per l’Europa e possedute in grande quantità ad Est.
Il triangolo fondamentale: Francia, Germania, Italia
C’è però un dato che nessun realismo politico può ignorare:
una politica estera comune e una difesa europea comune non nasceranno senza un’intesa chiara e stabile tra Francia, Germania e Italia.
Ognuno porta punti di forza e limiti:
- la Francia ha capacità militari avanzate e visione strategica,
- la Germania ha peso economico ma una cultura strategica più prudente,
- l’Italia può essere ponte diplomatico tra Nord, Sud ed Est europeo.
Se questi tre Paesi iniziano a vedersi come parti complementari della stessa sicurezza, l’Europa potrà finalmente fare un salto in avanti.
Se non accade, continueremo a muoverci a zig-zag, tra iniziative isolate e paesi che remano in direzioni opposte.
L’Europa non deve diventare una somma di paure, ma un progetto di responsabilità
Non è dunque il momento dell’allarmismo.
È il momento della responsabilità.
L’Europa non è mai nata da una spinta tecnocratica, ma da una scelta politica coraggiosa, come la storia ci ricorda attraverso l’operato di De Gasperi, Adenauer e Shumann.
Oggi si chiede lo stesso coraggio: capire che la sovranità non si perde condividendola, ma si perde quando la si difende da soli contro un mondo che non aspetta.
Ad agosto abbiamo detto che serviva una presa di coscienza.
Oggi diciamo che serve una scelta.
L’Europa non può più essere solo un’idea: deve diventare un soggetto
La politica estera e la difesa comune non sono il punto d’arrivo: sono il punto di partenza per costruire l’Europa del futuro come interlocutore mondiale politico, l’economia, la cultura, lo sviluppo dei diritti umani e della libertà, uno straordinario welfare che tutela i deboli… RICORDIAMOCELO… già lo abbiamo.
Mi sembra che si sia davanti ad un buon punto di partenza.



