La Cina “ricatta” il mondo dal punto di vista commerciale e anche diplomatico e uno dei paesi che più stanno chinando la testa è sicuramente l’Italia. Non solo il nostro Paese non ci guadagna nulla da accordi commerciali come la Via della Seta ma, nell’emergenza-Covid, in modo più o meno consapevole, il governo Conte ha imitato il modello cinese, imponendo coercizioni che non fanno parte della tradizione di alcuno stato democratico. A denunciarlo a Lo Speciale è Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani, da un pò di anni, osservatorio privilegiato su quanto accade a ridosso della Grande Muraglia.
Dottor Stango, alla luce dell’opera di monitoraggio compiuta dalla Federazione Italiana Diritti Umani dall’inizio di quest’anno, qual è il quadro generale sulla Cina?
“In questi mesi, la FIDU ha raccolto una serie di dati e di considerazioni. In base ai molti rapporti e materiali che ci sono arrivati dalla Cina, da Taiwan e da Hong Kong, attraverso persone che seguono gli avvenimenti molto da vicino, possiamo confermare che, da parte del regime di Pechino, la campagna di disinformazione è stata più massiccia del solito. Una disinformazione che si manifesta sia nel ritardo con cui sono stati diffusi i dati sullo scoppio della pandemia, sia nel modo in cui è stata messa a tacere qualsiasi voce che si esprimesse fuori dal coro rispetto all’informazione ufficiale. Nel frattempo, la repressione si è estesa al tentativo di disinformare a livello globale su quanto stesse avvenendo in Cina. Conoscendo il regime di Pechino, tutto ciò non ci sorprende”.
Nei mesi scorsi, ha suscitato un certo scalpore la sparizione di alcuni medici e scienziati che avevano denunciato l’omertà del governo sulla pandemia. Sono trapelate informazioni sul loro destino?
“È molto difficile ottenere informazioni sul loro conto. Le vittime di questa repressione sono tutti rappresentanti della comunità medico-scientifica cinese che avevano cercato di infrangere il silenzio sul Covid-19. Ci sono state persone fatte sparire, come la dottoressa Ai Fen. Qualcuno di loro è morto in modo misterioso, come Li Wen Liang. I pochi nomi trapelati – siamo pressoché certi che i coinvolti sono molti di più – sono emersi grazie alle poche agenzie che ne hanno parlato”.
A questa repressione sul fronte Covid, si aggiunge quella ai danni dei manifestanti a Hong Kong. Il regime comunista è davvero così invincibile?
“Ritengo che, non soltanto le associazioni per i diritti umani ma, in generale, tutti i governi degli stati democratici e le organizzazioni per i diritti umani dovrebbero prestare più attenzione a quanto sta avvenendo a Hong Kong. Dopo la violazione degli accordi che hanno portato all’autonomia di Hong Kong, quando è stata ammainata la bandiera britannica nel 1997, gli abitanti sono sempre più minacciati dal regime di Pechino. L’ondata repressiva e l’approvazione, nei giorni scorsi, di una una legge volta a punire con la massima severità coloro che manifestano per l’autonomia e la libertà a Hong Kong, accusandoli di secessionismo e terrorismo, sono tutti segnali molto preoccupanti. A questo proposito, va ricordato il caso della giornalista Zhang Zhan, che poche settimane fa è stata arrestata a Hong Kong, proprio per aver rivelato informazioni non ufficiali sulla questione della pandemia e che ora rischia fino a cinque anni di carcere. Se fatti del genere accadono per colpa della pandemia, immaginiamoci cosa può accadere a coloro che manifestano con grandi numeri a Hong Kong”.
Si è molto parlato di un “modello cinese” per fronteggiare la pandemia. Taluni l’hanno indicato addirittura come modello da seguire. Cosa ne pensa?
“Sono evidentemente affermazioni parecchio fuori luogo. La popolazione cinese, in generale, è, senza dubbio, molto propensa all’ordine e alla disciplina, ma stiamo parlando di una popolazione di oltre un miliardo, quindi non possiamo generalizzare troppo, tanto più che in Cina vi sono molte minoranze, perseguitate in quanto tali. Le diversità ci sono e sono notevoli, anche in territori come Hong Kong e Taiwan, dove pure l’etnia cinese è prevalente, così come lo è nella Repubblica Popolare Cinese. Siamo dunque di fronte a popolazioni, anche di decine di milioni di abitanti, che vivono in un quadro democratico di libertà, sebbene la grande maggioranza della popolazione cinese viva sotto un regime. Entrambe le componenti hanno però una storia plurimillenaria comune. Venendo alla domanda, prendere a modello il regime cinese, penso sia sbagliato da ogni punto di vista. Se proprio vogliamo imitare una popolazione che tenda ad essere ligia e rispettosa, forse è più pertinente pensare a Taiwan, al Giappone o alla Corea del Sud. Ma di certo, non c’è bisogno di pensare a un modello totalitario come quello di Pechino”.
Pensa che il governo italiano si sia in qualche modo ispirato al modello cinese, fatto di lockdown e controllo stretto sulla vita privata dei cittadini?
“Probabilmente in questi ultimi mesi c’è stata, da parte del governo italiano, una certa propensione a seguire un modello che impone alla popolazione un comportamento anziché suggerirlo. Sicuramente, per certi versi, per un governo, è più comodo dare ordini e incaricare le forze dell’ordine di effettuare una certa coercizione sui cittadini. Non credo che sia la scelta migliore. Ci sono sicuramente altri modelli che sarebbe stato più opportuno seguire. Tuttavia il fatto che il governo italiano sia spesso propenso ad accettare le proposte che arrivano da Pechino, lungo la via della Seta o su altri temi, secondo me è soprattutto da imputare al desiderio di stringere accordi commerciali che si ritengono positivi. A mio parere, però, certi accordi sono positivi solamente dal punto di vista dell’interesse cinese e non per i paesi occidentali”.
L’emergenza pandemia ha avuto effetti particolari sulla libertà religiosa in Cina?
“In questo ambito, non credo la situazione sia molto cambiata. Storicamente, la libertà religiosa è qualcosa di assolutamente assente nel sistema imposto dal Partito Comunista Cinese. I riti religiosi sono ammessi solo se sotto lo stretto controllo dello Stato e dei funzionari nelle varie regioni e città. Dal cattolicesimo, all’islam, al buddismo, chiunque provi a professare pubblicamente una religione al di fuori degli schemi del Partito Comunista Cinese e delle strutture governative, corre il rischio di essere perseguitato e spesso lo è. La repressione anti-religiosa era già forte a prescindere e tale è rimasta. È cresciuta in modo particolare la censura nei confronti dell’informazione alternativa a quella ufficiale, specie sull’argomento Covid-19”.
A livello globale, a partire dall’OMS, invece, quanto è forte la capacità di ricatto del regime cinese?
“È una capacità di ricatto che ha molte leve e la più potente è sicuramente quella commerciale. Non vanno trascurate, comunque, le pressioni diplomatiche, molto forti, e spesso anche molto rozze, che Pechino è in grado di esercitare. Le comunicazioni dei diplomatici cinesi, a partire dal Ministro degli Esteri, nei confronti dei governi, delle aziende e della stampa stranieri che osano criticare la Cina, di solito sono estremamente rudi e tendono a trasmettere l’idea che, chiunque si permetta di diffondere informazioni negative sul regime, rischia ripercussioni molto negative in materia di accordi commerciali e non solo”.
L’unico governo che sta facendo la voce grossa con Pechino è probabilmente quello statunitense. La guerra sanitario-commerciale minacciata da Donald Trump, che conseguenze può arrecare, secondo lei, agli equilibri economici e diplomatici mondiali?
“La mia impressione è che la situazione esistente è già di suo molto squilibrata. I tentativi dell’amministrazione Trump non so quanto siano efficaci ma credo siano volti a raddrizzare lo sbilanciamento che attualmente è a favore della Cina in molti settori. Certamente non ci attende un periodo facile ma credo che, alle pressioni cinesi, così estese a livello globale dal punto di vista politico, diplomatico e commerciale, sia giusto rispondere con una certa fermezza”.
(Lo_Speciale)