In una sentenza storica, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che i matrimoni tra persone dello stesso sesso legalmente contratti in uno Stato membro devono essere riconosciuti da tutti gli altri Paesi dell’Unione. Il pronunciamento, pubblicato il 25 novembre, nasce dal caso di due cittadini polacchi sposati in Germania, ai quali era stata negata la trascrizione del certificato di matrimonio in Polonia, dove le unioni omosessuali non sono previste dalla legislazione nazionale. Secondo la Corte, il rifiuto di riconoscere tali unioni viola il diritto alla libera circolazione e soggiorno garantito ai cittadini europei, oltre a ledere il rispetto della vita privata e familiare. “Costringere i coniugi a vivere come single nello Stato di origine comporta gravi complicazioni amministrative, professionali e personali”, si legge nelle motivazioni della sentenza. La decisione non impone agli Stati membri di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma li obbliga a riconoscere lo status coniugale acquisito in un altro Paese dell’Unione. Questo significa, ad esempio, che una coppia omosessuale sposata in Spagna o nei Paesi Bassi deve essere riconosciuta come tale anche in Stati come Polonia, Ungheria o Romania, dove il matrimonio egualitario non è previsto. Le reazioni non si sono fatte attendere. Le associazioni LGBTQ+ hanno accolto la sentenza come una “vittoria epocale”, mentre in alcuni Paesi dell’Est Europa si sono levate voci critiche, accusando Bruxelles di voler interferire con le sovranità nazionali. Tuttavia, la Corte ha ribadito che il principio non riguarda la definizione interna di matrimonio, ma la necessità di garantire pari diritti ai cittadini dell’Unione. La sentenza apre la strada a una maggiore armonizzazione dei diritti civili in Europa, rafforzando il principio di non discriminazione e il riconoscimento reciproco degli status giuridici.



