La fragile tregua sul fronte nord si è incrinata ulteriormente. Ieri nel sud del Libano un carro armato israeliano ha aperto il fuoco nei pressi di una pattuglia di Unifil, la forza di interposizione delle Nazioni Unite. Secondo la missione Onu, colpi di mitragliatrice pesante sono caduti a circa cinque metri dai caschi blu, che hanno potuto allontanarsi solo mezzora dopo, quando il Merkava si è ritirato. Unifil ha definito l’episodio una grave violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, che nel 2006 ha posto fine alla guerra tra Israele e Hezbollah e che è alla base della tregua entrata in vigore lo scorso novembre.L’esercito israeliano offre una versione del tutto diversa. In un comunicato le Forze di difesa israeliane spiegano che si è trattato di colpi di avvertimento sparati ieri mattina dopo che due “sospetti” erano stati individuati nella zona di El Hamames. Solo in seguito, affermano, si sarebbe appurato che si trattava di militari dell’Onu impegnati in una pattuglia e che il fraintendimento sarebbe legato alle cattive condizioni meteorologiche. L’Idf assicura che non ci sono stati feriti, nega di avere mirato deliberatamente contro i soldati Unifil e parla di un incidente ora oggetto di inchiesta. Sul confine, intanto, monta un nuovo contenzioso. Il presidente libanese Joseph Aoun ha incaricato i propri funzionari di presentare un reclamo urgente al Consiglio di Sicurezza contro Israele per la costruzione di un muro di cemento lungo la frontiera meridionale, che secondo Beirut oltrepassa la Linea Blu tracciata dall’Onu e rende inaccessibili oltre quattromila metri quadrati di territorio libanese. Unifil ha confermato la presenza di nuovi muri nella zona, mentre l’esercito israeliano nega qualsiasi sconfinamento e sostiene che si tratta di un progetto di fortificazione avviato nel 2022 per rafforzare la barriera fisica lungo il confine. Nonostante gli impegni assunti con la tregua con Hezbollah, Israele mantiene ancora proprie unità in cinque aree del sud del Libano considerate strategiche e continua a rivendicare attacchi mirati contro infrastrutture e miliziani del movimento sciita.
Gaza, cessate il fuoco sotto pressione
Sul fronte di Gaza il cessate il fuoco appare sempre più fragile. L’agenzia palestinese Wafa denuncia che ieri tre palestinesi sono stati uccisi in un raid aereo israeliano sulla zona di Bani Suheila, a est di Khan Yunis, “in violazione dell’accordo sul cessate il fuoco”. Vengono segnalate demolizioni di edifici anche nella parte settentrionale di Rafah, accompagnate da colpi d’arma da fuoco e dall’azione di elicotteri da combattimento. Secondo Al Jazeera elicotteri israeliani hanno bombardato le aree settentrionali di Rafah e varie zone di Gaza City, all’interno della cosiddetta linea gialla che delimita i settori sotto controllo dell’esercito. Il canale descrive famiglie che vivono “a pochi metri” dalla linea, tra demolizioni continue, attacchi improvvisi e condizioni invernali che aggravano una crisi umanitaria già gravissima per centinaia di migliaia di sfollati. Nel frattempo l’Organizzazione mondiale della sanità avverte che oltre sedicimila cinquecento pazienti, tra cui quasi quattromila bambini, attendono di essere evacuati dalla Striscia per ricevere cure urgenti all’estero. Il direttore generale Tedros Ghebreyesus ringrazia i trenta Paesi che finora hanno accettato di accogliere i feriti e chiede di aprire tutte le vie di evacuazione, in particolare verso la Cisgiordania e Gerusalemme Est, ricordando che “la salute e la guarigione non possono aspettare”.
Netanyahu ribadisce il no allo Stato palestinese
Sul piano politico, l’ultradestra incalza il governo mentre la società civile ha organizzato ieri sera manifestazione a Tel Aviv per chiedere il rilascio degli ultimi tre ostaggi. “Insieme saremo un’unica nazione e continueremo a chiedere il ritorno dei nostri fratelli che rimangono prigionieri di Hamas”, afferma in una nota il forum Ostaggi e famiglie scomparse. Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir chiedono a Netanyahu di dichiarare apertamente alla comunità internazionale che “uno Stato palestinese non verrà mai istituito”, accusandolo di un silenzio che definiscono “vergogna diplomatica” proprio mentre il Consiglio di Sicurezza si prepara a esaminare una bozza di risoluzione che, sulla base del piano di Trump, prospetta un percorso verso l’autodeterminazione palestinese e il passaggio di Gaza a una forza internazionale di stabilizzazione e a una amministrazione palestinese. All’apertura della riunione di governo, ieri, Benjamin Netanyahu ha ricordato che “l’opposizione a uno Stato palestinese in qualsiasi territorio a ovest del Giordano è valida e non è cambiata di una virgola”. Il premier insiste sul fatto che Gaza dovrà essere smilitarizzata e che Hamas sarà disarmata, “nel modo più facile o nel modo più duro”, in coerenza con il piano in venti punti sostenuto da Donald Trump. Sulla stessa linea il ministro della Difesa Israel Katz, che su X ha ribadito che “non ci sarà uno Stato palestinese” e che le forze israeliane resteranno in tutte le aree chiave. Il ministro degli Esteri Gideon Saar parla di “Stati terroristi” come Hamas, Hezbollah e gli Houthi, e assicura che Israele non permetterà la nascita di un “Stato terrorista palestinese”.



